10 cose che ho amato del 2020 del Pga Tour


  • DUSTIN JOHNSON. Per anni, mentre cestinava major già vinti, lo abbiamo catalogato come svagato. Distratto, per dirla in un modo più gentile. E i grandi distratti sono sempre considerati incompatibili con i grandi successi da una società dominata invece dall’imperativo della produttività. Ma non fatevi ingannare: come scriveva Proust, “è sempre distrattamente che ci imbattiamo nella vita”. E magari pure in una giacca verde (e in una certa Paulina…);
  • BRYSON DECHAMBEAU. Secondo Einstein, “non possiamo risolvere i nostri problemi con la stessa mentalità che li ha creati”. Bisogna, insomma, pensare (e agire) fuori dagli schemi. Detto, fatto: la mancanza di potenza dal tee era il “problema” del californiano? Risolto. Perché una laurea in fisica non serve solo a risolvere i grandi misteri dell’universo, ma pure quelli di una pallina;
  • VIKTOR HOVLAND. Per natura non abbiamo un difetto che non possa diventare un punto di forza. Lo sosteneva Goethe e ce lo ha dimostrato il norvegese. Non sapeva approcciare, il ragazzino, ma, con un nuovo grip a 10 dita (cioè a baseball) dalle 40 yard in giù, è andato a vincere domenica sera in Messico il Mayakoba il suo secondo torneo del 2020. Bene se non benissimo;
  • IL MASTERS A NOVEMBRE. Viviamo in tempi rabbiosi e villani. In giornate che si mettono in fila vestite una uguale all’altra (in pigiama o in tuta, per lo più). Ma poi arriva quella settimana lì, e tutto diventa verde ottimista. Mai come in questo 2020 demmerda, il Masters ci ha regalato una settimana salvifica;
  • LE STORIE DIETRO AI CAMPIONI. Perché quelle stesse storie a volte ci spiegano perché succede quel che succede. E lì dentro, tra una riga e l’altra delle loro biografie, c’è sempre quella mezza pagina, che parla anche di te, e, soprattutto, a te;
  • IL PLAYOFF RAHM-DJ. A volte una tecnica sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla magia. E mai come in quello spareggio epico a due al BMW Championship di fine agosto ne abbiamo avuto coscienza. E allora, in definitiva, che cos’è il genio? Slancio di immaginazione, fantasia, e la coscienza di avere sempre una possibilità: ecco la lezione da trarre da quei putt monstre imbucati prima da DJ alla 72sima buca e poi dallo spagnolo al play off;
  • RICK SESSINGHAUS. È il coach di Collin Morikawa. Colui che con il suo pupillo ci ha dimostrato che c’è qualcosa di più oltre ai numeri del Trackman. E che i segreti dello score non possano essere scovati in un radar dello swing, ma nel radar del cuore. Quello serve;
  • BRENDON TODD. È sinonimo di resilienza, tenacia e perseveranza, questo gentleman del golf. Che nel 2014 vince un torneo del Pga Tour e dal 2015 al 2018 combatte contro lo yips nello swing. E alla fine torna a conquistare, non uno, ma due tornei, facendoci scoprire quanto spacchi il cuore la felicità quando è meritocratica;
  • PAULINA GRETZKY. L’amore di DJ. La madre dei suoi due figli. La vera vincitrice planetaria del Masters 2020, con quella falcata da giaguara sexy sul green della 18 dell’Augusta National. Una musa che insegna a tutte le donne a rifuggire dall’opacità della vita, ma soprattutto dall’opacità dei brillanti;
  • IL KO DI BROOKS KOEPKA. Diciamocelo francamente: ce li aveva pestati esattamente come si fa col basilico per preparare il pesto. Sempre a ripeterci quanto lui si fosse e si sentisse fico, vincente, maschio e imbattibile. Ma gli dei ascoltano e se c’è una cosa che non perdonano è la tracotanza. Ce lo insegnavano i Greci, che di ubris se ne intendevano. Per tornare al top della forma nel 2021, a Brooks consiglierei un’approfondita lettura dei classici, che non fa mai male, e due gocce di umiltà la sera, prima di coricarsi.

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