- I 5 milioni di dollari e spicci. Tanto è stato raccolto dal match di beneficenza organizzato da Taylor Made e giocato a Seminole, in Florida, da Rory McIlroy in coppia con Dustin Johnson, contro Rickie Fowler e Matthew Wollf. Poco importa chi abbia vinto la partita (i primi due), perché contava il fine, ossia fare del bene. Ed è bello che il golf sia stato il primo sport a essere in prima linea nella trincea della beneficenza.
- La favola. Voltaire scriveva che “le favole sono la storia dei tempi rozzi”. Ma capita anche che la rozzezza del tempo sia tale che l’epoca che viviamo non accetti neppure le favole o qualsiasi altro tipo di racconto. Eppure, non so a voi, ma a me, domenica sera, a osservare dallo schermo tv il verde del percorso di gara, godendo di nuovo del buon golf in diretta, pareva proprio di vivere in una favola.
- Niente virologi. Finalmente.I drive a bomba di Rory e Wollf, ingarellati come bambini coi loro teeshot, il tocco setoso dei putt di Riccardino Fowler, il rumore delle onde dell’Oceano a pochi passi dal percorso: sono cose che nell’ultima serata di lockdown italiano hanno fatto bene al cuore e alla mente di noi sportivi, per la prima volta distratti da una diretta tv dai numeri del dolore che tanto bene abbiamo imparato a conoscere.
- L’immagine in generale.I campioni vestiti come noi neurolabili dello swing, la sacca in spalla, la mancanza di pubblico, le prese in giro di Rory a Wollf: tutta la sceneggiatura del match concorreva a sottolineare una cosa. Che alla fine, nella vita, si rincorre tutti un desiderio identico: normalità. Che grande lezione.
- La pancetta di Dustin Johnson.Lo avevo scritto: ogni quarantena è infelice a modo suo. A giudicare dai rotolini sugli addominali di solito scolpiti a lucido, quella di DJ deve essere stata una quarantena a uso e consumo di junk food. Un segnale di pace, soprattutto per tutti noi neurolabili dello swing, che abbiamo sofferto per 70 giorni le nostre inadempienze alimentari e i numerini atroci delle nostre bilance.
- Niente caddie.Vedere tante pendenze non lette alla perfezione sui green mi lascia credere che alla fine i caddie siano più importanti di quello che immaginiamo noi comuni mortali e che il golf si stia trasformando lentamente in un gioco di squadra.
- Distanziamento.Osservare quattro campioni giocare 18 buche senza mai avere il problema o la paura di ritrovarsi troppo vicini e dunque a rischio contagio, mi fa ancora una volta di più credere alla totale sicurezza del nostro gioco.
- I bermuda.I 4 campioni hanno giocato con la braga corta e non mi pare che qualcuno di loro ne abbia sofferto. Anzi. E direi che anche a casa, davanti alla tv, nessuno abbia gridato allo scandalo. Il che mi fa sperare che questa prossima e ormai vicina ripartenza dei Tour potrebbe essere l’occasione giusta per provare finalmente a svecchiare definitivamente il look del golf.
- L’imprevedibilità.Sette birdie firmati Fowler e, nonostante tutto, Riccardino non è riuscito a portare a casa il match. Colpa certamente della formula di gara, lo Skins Game. Ma non per questo il risultato è negativo, anzi. Ci dimostra ancora una volta che nel golf esistono eventi che sfidano le previsioni matematiche e che è meglio allenarsi a essere morbidi x per accoglierli quando arrivano.
- Le alternative.Sepulveda scriveva che “trovare alternative è un bel segnale di intelligenza”. Il golf queste alternative le ha trovate. E lo ha fatto per primo. Non aggiungo altro.