- Che, siccome per i pro il segreto per ottimi chip è mantenere sempre la stessa distanza dello sterno dal terreno, ne consegue che il peggior approcciatore è quello che, mentre swinga, si alza e si abbassa, o che si abbassa e si alza;
- Che quando sul Tour devono prendere a modello un giocatore per come NON si approccia, il nome più gettonato è quello di Lee Westwood;
- Che quando la sabbia dei bunker è poco fine, l’explosion avrà decisamente meno spin. Perché i granelli di sabbia s’infilano tra i grooves del sand come il riso si infila nei buchini del colino del thè e allora… ciao core;
- Che secondo Brett Rumford, uno che parla al sand come Stradivari parlava al violino, negli approccini intorno al green il segreto è fare pressione non con le mani verso la palla, ma attraverso le ginocchia verso il terreno e la bandiera. Il tutto mentre i fianchi ruotano in discesa verso il bersaglio (a noi ce piacerebbe….);
- Che, proprio per facilitare nel downswing quest’azione del corpo verso la bandiera, il saggio Brett tiene all’address il piede sinistro rivolto verso l’asta;
- Che se noi neurolabili dello swing proviamo ad approcciare con la tecnica di Rumford, non spostiamo la palla che di dieci centimetri. Morale: la flappona è sempre in agguato;
- Che il finish dell’approccino intorno al green deve essere con le mani che escono a sinistra del corpo e che si ritrovano vicine al fianco sinistro;
- Che il tedesco Marcel Siem accetta lezioni di gioco corto come se non ci fosse un domani;
- Che però, come mi ha spiegato Mathias Gronberg, “non c’è un solo modo per approcciare, ma c’è un modo che sicuramente è il migliore per te”;
- Che dunque tanto vale provare tutte queste diavolerie, che tanto i disastri servono all’equazione generale: senza un certo numero di cavolate, significa che siamo fermi da qualche parte. Che poi, generalmente, è a qualche metro dal green, qualche centimetro più avanti di dove eravamo col colpo precedente….