2018, dieci nomi da tenere d’occhio

Dustino DJ Johnson Ok, questo era facile. DJ ha appena dominato alle Hawaii il Sentry Tournament of Champions, gara inaugurale dell’anno del Pga Tour con 8 colpi di vantaggio sul secondo, un drive di 433 yards, una velocità di swing di 185 miglia orarie, e con una superbonazza da copertina che lo aspetta a casa. Di lui hanno detto che la sua forza era la mega atleticità del fisico; ora sostengono invece che l’atout sia la sua memoria a brevissimo termine. In buona sostanza, Dj marca bogey e non se lo ricorderebbe: vivrebbe in un costante presente, che poi è la condizione migliore per performare nel golf. Personalmente, invece, credo che la sua qualità numero 1 sia la consapevolezza di ciò che è reale e che non sempre è ben visibile davanti a noi: DJ è fortissimo, lo sa e, nel suo caso, si vede pure.

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Patrick Cantlay Decisamente un nome meno scontato di quello del numero 1. Viso da gufetto, orecchie a sventola e un pallore da vampiro, il nostro Patrick non ha quello che si definisce il “physique du role” della star. Epperò, dategli un occhio lo stesso: è un sopravvissuto. E’ sopravvissuto all’incidente in cui il migliore amico gli è morto accanto, trovando, anni dopo, la forza di perdonarsi il fatto di essere rimasto in vita. E si sa: per chi è capace di praticare l’arte dell’indulgenza verso se stesso e per chi ha già praticato abbastanza nel driving range del dolore, il campo da golf è il paradiso nel quale strappare il biglietto del perdono. Lo vedo in Ryder Cup a Parigi, magari come pick del capitano.

 

Rory McRory Non sempre i matrimoni fanno bene. L’innamoramento è infatti l’eccezione all’evoluzionismo darwiniano: qui, tutti gli invincibili sono destinanti a perdere, un giorno. Ed è proprio quello che è successo nel 2017 al ricciolone nordirlandese, che di colpo è parso aver perso la giusta dose di attenzione al gioco. Lui si è mascherato dietro infortuni, intolleranze alimentari, problemi tecnici, cambi di caddie e di swing, ma la verità me l’ha confidata Chubby Chandler, suo ex manager: “Rory non è più un lottatore”. Ora, lo scrittore Safran Foer sostiene che non è difficile saper combattere: basta restare in vita. E Rory pare averlo preso in parola: è a Dubai, ad affinare il gesto tecnico, per un inizio di 2018 a bombazza. Ma per brillare, più che lo swing, gli serviranno wedge calibrati, un putt finalmente decente e neuroni ingorillati. Vedremo.

 

Riccardino Fowler Del trio indissolubile di cui fanno parte anche gli amiconi Spieth e Thomas, lui è quello che pare essere rimasto un passo, ops, un major indietro. Troppo carino, troppo instagrammabile, troppo fighetta, troppo rispettoso, troppo gentile, Riccardino ogni tanto pare mancare di un grammo del “gene Wolverine” per trasfigurarsi un immortale del golf. Se, come gli suggerì tempo fa il mitico Butch Harmon, la pianterà di dirsi come deve essere, diventerà ciò che realmente è: un campionissimo.

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Jason Tristesse Dufner Tra i veleni dell’anima, c’è quello di pensare continuamente alle cose che non funzionano. Per distogliere lo sguardo dai disagi e posarlo invece sulle cose che vanno alla grande, come direbbe Antonello Venditti, ci vorrebbe un amico. E, in verità, Duffy pare averne scovato non uno, ma ben tre: Spieth, Thomas e Fowler. Grazie al loro sostegno e alla leggerezza di cui lo hanno circondato, nel 2017 ha conquistato il Memorial con un capolavoro alla 18. SE l’amicizia continuerà anche in questo 2018 e la terapia di sostegno pure, Dufner potrebbe trasformare quella classica allegria da naufrago che lo pervade, in un killer instinct da manuale.

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Justino Rose Tre vittorie e sette top ten negli ultimi dieci tornei: no, dico, come si fa a non piazzarlo sotto i radar? Dopo l’Olimpiade vittoriosa, l’inglese pareva aver dato tutto fino in fondo, poi, improvviso, è arrivato il botto bombastico di fine stagione 2017. Se avete in tasca qualche euro, puntatelo sulla sua giacca verde per il Masters: quel campo pare gli si cucia addosso alla perfezione, manco fosse un abito su misura.

 

Lexi Thompson Di questi tempi, tutto è baby o mignon. Persino il fade o il draw. Restano maxi, invece, solo le calorie e quella penalità inflitta all’americana, con cui i giudici le hanno strappato dalle unghie un major ormai vinto e poi perso al play off. Lei si ostina a non parlarne, né nelle conferenze stampa, né nelle interviste, quasi a negarsi l’accaduto. Nel frattempo, si è fatta male a un polso e ha buttato alle ortiche un altro torneo, ciccando un micro putt all’ultima buca. Se riuscirà finalmente a metabolizzare tutto ciò che finora ha messo da parte in quella valigia lucchettata nello scantinato dei suoi pensieri, saprà fare una stagione da regina.

 

Tigerone Woods Evabbè, che ve lo dico a fare? Cosa mi aspetto da lui? In tutta onestà, che non si infortuni, che passi il cut in tre dei 4 major, che sia una delle pick americane per la Ryder di Parigi, che overdraivi quelli della next generation, bla bla bla. In definitiva, che ci faccia sognare come ha sempre saputo fare. E che davvero si goda con un sorriso in campo tutto il suo talento, come forse mai ha saputo fare.

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Tommy Fleetwood Non solo ha vinto la Race to Dubai, che già sarebbe tantissima roba. Nossignore. Nel 2017 ha pure conquistato la leadership nella speciale classifica europea per il maggior numero di giri senza bogey: cioè, è come se avesse scritto le note dell’inno alla solidità golfistica. Da seguire con attenzione, soprattutto nel suo ritrovato e amatissimo volo di palla, da destra a sinistra.

 

Brian Harman In un mondo –quello del Pga Tour- di giganti, lui è la classica formica che nel suo piccolo sa come e quando incazzarsi. È un tipo, il buon Brian, che nonostante tutti quei “senza” (senza fisico, senza forza, senza lunghezza, senza bomberaggine ecc..) di cui è dotato, sa comunque come farsi rispettare sul circuito. Ma forse è proprio grazie a quei “senza” che sta lì irremovibile, in alto nei leaderboard, e non cede mai: davvero senza paura.

 

Comments

2 Comments
  1. posted by
    Lucia
    Jan 10, 2018 Reply

    E gli spagnoli?

    • posted by
      Isabella Calogero
      Jan 10, 2018 Reply

      Nei secondi dieci

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