Andrea Romano, il talento di Dio

I più delusi dalla vita, quelli di noi più affranti dall’esperienza vi diranno che cercare di fare qualcosa per la vita delle persone è del tutto inutile. Che né l’amicizia, né la compassione, né tantomeno la comprensione delle situazioni hanno la minima utilità: a dar retta a questi feticci umani immolatisi sulla via per la rassegnazione, le persone, gli altri, chi ci sta vicino, tutti noi, insomma, costruiamo e carichiamo a molla di continuo il meccanismo della nostra personalissima infelicità, che dunque gira fino all’ultimo secondo di un moto ineluttabile e incontrovertibile.

A questa nichilistica lettura della realtà umana non si piega quel folletto di Andrea Romano, 18 anni e mezzo, uno che, quando lo vedi swingare a bombazza con quell’energia che di solito solo i grandi ballerini sembrano saper sprigionare dal terreno che calpestano lievemente sotto ai piedi, ecco, quando vedi Andrea Romano swingare, ti pare che tutto sommato il mondo possa essere davvero un posto migliore. Che, quaggiù, insomma, ci possa essere posto per qualcosa che non sia solo l’arrendersi alla nostra infelicità, ma, semmai il vivere la nostra vita credendoci fino in fondo. E credendo pure in quella degli altri:

“Sì, è vero, io credo –mi racconta Andrea appena sbarcato in Italia dopo il trionfo d’inizio anno all’Orange Bowl in Florida- e credo moltissimo in Dio, in Gesù. Sono religioso. E credo che questo mio sentimento mi renda più forte e che proprio per questo io possa e debba dare una mano a chi magari non si sente come me. A chi si sente vessato, ma non ha la forza di reagire. Quando vedo certe ingiustizie, o certi comportamenti da sbruffone, d’istinto mi pongo dalla parte del più debole. E cerco di aiutare e proteggere, perché ormai la mia fede è diventata la mia forza”.

Anche in campo? “Certamente. La pressione che sento, perché ovviamente la sento eccome, la gestisco con la preghiera. Prego, mentre gioco. E non mi parlo mai al singolare, ma al plurale, perché è come se sentissi che Dio è al mio fianco in quel momento. Mi dico, dai che ce la facciamo, dai che lo imbuchiamo: siamo io e Dio e io non mi sento mai solo. Mai”.

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Cos’altro ti regala questa fede così profonda? “Beh, quando gioco è come se non mi rendessi conto di quello che sto facendo. Come all’ultima buca dell’Orange Bowl, dove ho segnato un eagle: fino alla fine non mi sono accorto che stavo per vincere. Era come se mi fossi estraniato dal contesto che stavo vivendo e fossi entrato in una sfera totalmente intima, in pieno dialogo con Dio”

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Immagino che tu sappia che quello che mi stai raccontando è straordinario, e che quasi ti invidio, ma anche che è raro trovare una fede così radicata a 18 anni… “Lo so. Certo. E infatti all’inizio i miei amici mi prendevano in giro, ma adesso non più. Hanno imparato a rispettarmi e a rispettare questo mio senso religioso. All’inizio è stata dura, non lo nego, ma non mi sono mai lasciato intimidire e adesso con loro è tutto ok”.

Se Dio ti sussurra parole di conforto, ultimamente però anche Olazabal e Cabrera Bello ti hanno detto qualcosa di interessante. O no? “Sì, sì! Ho incontrato Rafa a maggio: abbiamo giocato 18 buche insieme in pro-am a Villa Carolina e mi ha consigliato un’ottima tecnica di respirazione sui putt corti. Mi ha detto: vai con confidenza, vai! Con Olazabal, invece ci siamo incontrati un mesetto fa, a Pula, in Spagna: mi ha aiutato negli approcci da bordo green. È una vera leggenda: grazie ai suoi consigli, tutto quello che facevo io con fatica, è diventato più semplice da realizzare. Ma in fondo la semplicità non è la cosa più difficile da ottenere?”.

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Certamente, ma anche vincere cinque campionati nazionali, gli Internazionali under 18 di Francia e d’Inghilterra, quelli assoluti d’Italia e l’Orange Bowl, non è roba da poco: “Vero, ma sono molto aiutato: a Roma da Simone Selli, che è il mio maestro; nel team azzurro da Alberto Binaghi, e sul putt da Roberto Zappa, che in pochissimo tempo è riuscito a farmi diventare un pattatore migliore e non solo di feeling come invece ero prima”.

E come eri prima, prima di giocare a golf? “Non me lo ricordo. So che giocavo a calcio –dove ero proprio bravino- e che andavo anche a nuotare. Poi, un giorno, avrò avuto 4 o 5 anni, ho visto il figlio di un’amica di mia madre giocare a golf. Allora le ho detto: mamma, da oggi, golf. E so che mi piaceva da matti quando la pallina faceva 10 metri. Questo mi ricordo, niente altro”.

Un’ultima domanda: mi hai raccontato della tua fede in Dio, ma pur essendo così profondo il tuo senso religioso, non ve n’è traccia nel tuo profilo Instagram. Come mai? “Perché non è qualcosa che mi sento obbligato a far vedere. Lo faccio oggi con te, testimoniando che mi affido a Dio, ma questo non significa che lo devo mostrare per forza”.

Giustissimo. E scusate se in tempi di esposizione totale come questi che stiamo vivendo, tempi in cui il sipario di Instagram pare non calare davvero mai, il non volersi svelare a tutti i costi  non sia un pregio su cui fermarsi a riflettere per qualche secondo, magari da soli, e senza il cellulare in mano.

 

 

Comments

4 Comments
  1. posted by
    Sandro
    Jan 14, 2019 Reply

    Gesù, Il coach migliore in assoluto!

  2. posted by
    Mari
    May 8, 2019 Reply

    La fede ti rende più forte e non ti senti mai solo….bravo Andrea!

  3. posted by
    Paolo Vitali de Bonda
    May 16, 2019 Reply

    Un grosso abbraccio al giovane Andrea, le sue parole mi hanno dato enorme conforto

  4. posted by
    Giuli
    Aug 11, 2019 Reply

    Bravo Andrea…che Gesù continui a restare al tuo fianco

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