Considerazioni post Open d’Italia

Torno dall’Open d’Italia con una consapevolezza in più: che il gioco del golf è davvero strano.

Prendi Thorbjorn Olesen, il vincitore del torneo, uno che nel nome ha già un destino: Thor, vuol dire lampo. E sono stati proprio i lampi di giovedì pomeriggio a permettergli di fermare il suo gioco che andava zigzagando di qua e di là e ritrovare ritmo e fiducia nei pochi colpi di pratica prima di tornare più fiducioso in campo. Morale: meno 22 e vittoria in tasca a Gardagolf.

Il gioco del golf è strano: appeso a un click. Lo ha detto anche Lee Westwood, al termine del suo giro conclusivo in meno 8, il migliore, per ora, in una stagione avara di piazzamenti per l’inglesone.

Lo ha dimostrato Lee Slattery, che arrivava dall’accoppiata 77-79 siglata a Wentworth e dal conseguente taglio mancato. È stato leader a Gardagolf dopo 54 buche, per chiudere poi agile terzo a meno 20.

Lo ha ripetuto Lorenzo Gagli, che prima della purezza di un ferro 6 alla 8 del terzo giro non si aspettava nulla di buono dalla giornata. E poi, invece, sappiamo bene com’è andata: quattordicesimo nella classifica di un Rolex Series. “Quello swing –ha spiegato il fiorentino- è stato una sensazione che mi ha attraversato il corpo, un feeling perfetto e mi ci sono aggrappato con tutto me stesso”.

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Del click ne hanno parlato anche Andy Sullivan, Graeme McDowell e molti altri ancora: è una roba che arriva dall’inconscio, dalla sfera delle emozioni, da quella parte buia di noi stessi che non controlliamo. Epperò, accade: sta a noi riconoscerla e, soprattutto tesorizzarla.

Detto così, è come se il gioco del golf fosse tutto una ricerca del click perfetto , un click da cui ricominciare il giro cavalcando l’onda di una scintilla magica nello swing o nel putt.

“Certo, dipende da che tipo di giocatore sei –mi spiega Silvio Grappasonni- se sei un istintivo (e quelli a cui hai accennato lo sono), questo meccanismo strano può funzionare: senti una sensazione che ti piace nello swing, chessò, il polso messo in un determinato modo nel backswing per esempio, e ti ci appoggi. Ma, se sei invece un golfista analitico, uno che si basa sui numeri per intenderci, uno alla DeChambeau, non puoi farlo. Ma sai qual è la cosa più strana in assoluto?”

No, dimmi.

“E’ che il feeling a cui ti appoggi, il più delle volte, non corrisponde a ciò che si vede nei video. Diciamo che il corpo ti manda un segnale che non corrisponde alla realtà della tecnica dello swing. E diciamo pure che anche per questo motivo i video non si usano praticamente più. Si preferisce lasciare che una cosa funzioni, finché funziona”.

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Insomma, parliamo di un golf più istintivo, più funzionale, meno ripetitivo rispetto al passato, un golf meno schiavo delle posizione e della tecnica a specchio: lo “studio lo swing di un campione e poi provo a riprodurlo” non esiste più. È morto e sepolto.

Lo stesso Chiccuzzo Molinari, da quando lavora con Dave Allred, ha modificato in toto il suo tipo di training: non più secchiate di palle al campo pratica una in fila all’altra, ma un allenamento che ricrei le mille situazioni del campo.

“Ci sono studi scientifici – spiega il coach Luca Salvetti – che dimostrano come la pratica migliore sia cambiare. Non cento ferri 7 di fila, ma tanti colpi diversi. Solo così si crea la vera permanenza”.

L’unica domanda, allora, che mi sovviene al termine di tutte queste chiacchiere è: visto che noi neurolabili cambiamo a ogni swing e a ogni putt, come mai non creiamo altra permanenza se non quella dello slice?

Me lo chiedevo lì, a Gardagolf, tra un colpo perfetto e una traiettoria magnifica e sono arrivata a una conclusione: che il nostro non è mai un click. E’ un crack. Il crack che ci sentiamo nella schiena se solo proviamo a fare uno swing come il loro.

Morale: mai una gioia.

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Comments

1 Comment
  1. posted by
    Gianmario
    Jun 6, 2018 Reply

    Maiunagioia, tutto attaccato, uno slogan perfetto per chi come noi “gioca” il gioco più bello del mondo. Sempre, anche quando non fai risultato.

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