Dave Alred, l’uomo che mettendo “scomodo” Molinari, lo ha posizionato comodo sul trono d’Europa

Sono esseri umani simili, Francesco Molinari e Dave Alred: entrambi di poche parole, schivi, lavoratori indefessi. Quasi compulsivi, direi, quando si tratta di fiutare l’obiettivo: che sia la Claret Jug dell’Open Championship, o riuscire a colpire 5 flop shot da diverse posizioni intorno al green, in modo che ognuno degli approcci risulti sempre migliore del precedente, poco importa. L’importante è riuscirci, prima o poi, senza fretta, ma restando sempre sotto pressione, in una zona di costante variabilità psichica e tecnica. In quello insomma che in gergo i due chiamano il “processo”.

Un processo che non ha un dibattimento né una giuria, ma che però pretende non meno di una presa di coscienza: ovvero la consapevolezza illuminata che è inutile allenarsi ore e ore in campo pratica tirando secchiate di palle una identica all’altra. Che, cioè, la ripetitività esasperata del driving range non serve, se nel mentre non ci si impegna in una sessione di “accountability and consequence”.

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Ora: per chi non lo sapesse, Alred, è un nome e una garanzia assoluta nello sport britannico e in particolar modo nel mondo del rugby.

Alcuni lo definiscono un genio: probabilmente è stato lui per primo a intuire che se dal calcio piazzato nel rugby al putt in buca da 5 metri nel golf il passo parrebbe enorme, in entrambi i casi, però, l’attitudine mentale necessaria sembrerebbe essere la stessa. E che, se allora si allena l’attitudine giusta, altrettanto giusti saranno i calci e i putt in campo.

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Per chi non lo avesse ancora intuito, Dave Alred è l’uomo che negli ultimi due anni ha rivoluzionato non lo swing, non il putt, non il drive del Chicco Nazionale, ma SOLO (vien da ridere a scrivere la parola “solo” tanto invece è mastodontico il lavoro alle spalle) il metodo di allenamento. Che appunto si basa tutto sul concetto di “accountability and consequence”: di responsabilità e conseguenze, le stesse che Chicco ha affrontato nei tre giorni tostissimi di allenamento a Carnoustie, subito prima dell’inizio dell’Open Championship, proprio sotto l’occhio vigile di Alred.

Di cosa si tratta in soldoni? Di un training che ha lo scopo di creare consistenza dall’inconsistenza, giocando sempre e solo nella variabilità (giustamente, visto che il golf per sua natura è un gioco che si basa sulla capacità del giocatore di sapersi adattare alle variabili che incontra in campo). Il tutto, per imparare a performare al massimo in ogni situazione che si presenta lungo le 18 buche del torneo.

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Tradotto: non si lavora sullo swing, che tanto nessuno nella storia del golf, neppure Jack o Tiger, è mai riuscito a duplicare identici due colpi di fila, ma, piuttosto, nella simulazione esasperata delle condizioni di gara.

L’allenamento è composto da una serie di prove sul campo che Francesco deve superare in un crescendo di difficoltà tecnica e di stress, finché non conclude tutto il lavoro che gli è stato assegnato. Un esempio? Una sessione di 5 approcci intorno al green da lie poco standard, durante la quale ogni sand deve atterrare più vicino alla buca di quello precedente. Finché lo scopo non è centrato, si ripete. Si ripete. Si ripete.

Alred sa che ogni colpo che tiriamo in campo ha delle conseguenze e pretende dunque che tutti i colpi che il golfista allena nel corso del suo training quotidiano debbano avere i medesimi esiti. Insomma: senza la presa di coscienza che siamo responsabili delle conseguenze dei nostri colpi, non si va da nessuna parte.

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In definitiva, quella che Alred propone è una pratica che richiede grandi prove mentali, in situazioni golfistiche che altro non sono che una miscela di golf casuale e imprevedibile.

Il binomio Molinari-Alred è diventato così forte nel tempo, che prima dell’inizio del torneo Chicco dichiarava più volte alla stampa di sentirsi “pronto per una vittoria”. Sapeva benissimo, perché Dave glielo aveva insegnato, che esiste una sostanziale differenza tra il sentirsi a posto e l’essere pronto. E Francesco stavolta si sentiva … ready. Perché, per essere pronto, da un paio di anni si era dovuto sentire poco confortevole milioni e milioni di altre volte, ma era stato capace di ripartire ogni volta da lì, sempre con un colpo migliore di quello che aveva appena tirato. E ha finito per tirare il colpo migliore della vita a Carnoustie: il putt alla 18 per il birdie e la vittoria.

 

(Ps per chi fosse interessato, consiglio il libro “The Pressure Principle”, di Dave Alred. Lo trovate su Amazon).

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