Del perché il gioco corto sia terapeutico

Quando le giornate si presentano in salita, alcune di noi prenotano un appuntamento dal terapista, altre si gettano in sessioni di shopping lenitivo, altre ancora sbianchettano la lista dei guai con un aperitivo serale con le amiche.

Io, invece, me ne vado a giocare qualche buchetta da sola. Perché, se è vero che le amiche ti ascoltano, la migliore delle amiche è però quella che ti ascolta anche quando non dici nulla. E, ancora: se è vero che le amiche ti trascinano nei posti migliori, la best friend è però quella che sa trascinare il meglio fuori da te.

Ecco, per certi versi, per me 9 buchette sono quell’amica lì. E in tutta onestà, se devo riflettere sugli alti e bassi della vita, preferisco farlo mentre mi perdo in un’oretta di gioco corto intorno al green. Perché, sì, è vero: ho avuto alti e bassi nella mia vita, ma non è, come sosteneva qualcuna che non ricordo, che mi sia trovata bene con entrambi. Nossignore.

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Ma, se in quelle giornate lì, in quelle da piantare tutto, mi concentro solo sul volo della palla intorno al green, se sia cioè preferibile averlo alto o basso, allora tutto il resto diventa immediatamente più chiaro. Perché una cosa il gioco corto sa insegnarti: che il meglio di te sbuca fuori per sottrazione, all’improvviso, quando realizzi che metà delle cose che pensavi fossero importanti, in realtà non lo sono per niente.

L’unica cosa che conta, sul green come nella vita, è dove vuoi atterrare. Visualizza quello e il resto verrà da sé.

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