Del perchè la Presidents Cup potrebbe non essere una passeggiata per Tiger

Ok, da mercoledì notte/giovedì mattina all’alba noi guardoni delle cose golfistiche saremo con gli occhi puntati sulla 13sima edizione della Presidents Cup e, tra una palpebra ballerina che si chiude e uno sbadiglio più violento, penseremo tutti in coro: “sì, vabbè, ma tanto anche stavolta vincono facile gli Stati Uniti”.

Ora: i numeri in effetti questo ci dicono, che il team a stelle e strisce ha vinto 10 volte, pareggiato 1 e perso in una sola edizione. E se diamo retta alla matematica che in genere non tradisce, potrebbe non esserci storia neppure in questo infinito 2019. Epperò…. Epperò ci sono un paio di cosucce da sviscerare prima di puntare in agilità due eurini sugli States di Mr. Woods:

  1. Il Fattore Campo. L’unica volta che gli Usa hanno perso in Presidents Cup è stato nel 1998 (ed Ernie Els, oggi capitano, all’epoca giocava) proprio sullo stesso percorso dove si gioca quest’anno: al terribile Royal Melbourne, uno dei campi più diabolici al mondo. Non solo: si giocò qui anche nel 2011 e in quell’occasione gli Stati Uniti vinsero sì, ma non senza dover lottare fino alla fine.
  2. I tee shot. Il Royal Melbourne non è lungo, sono solo 7000 yards e qualcosa, ma i tee shot sono capaci di far uscire le emorroidi anche ai più temerari. Serve precisione dal tee, non potenza, un gioco (vedi Ryder Cup 2018) che gli statunitensi a volte paiono amare poco. E poi: con i green così dannatamente ondulati e così veloci (lo stimp sarà intorno al 14), i ferri alle bandiere dovranno essere chirurgici.
  3. L’Australia. Giocare down under è come giocare in Sudafrica: è un golf a sé. E qui i padroni di casa di solito fanno quello che sono: i padroni. Non a caso, nel 1998 il Team Internazionale era quasi tutto formato da australiani e neozelandesi. Quest’anno Scott, Leishman e Smith sono gli unici australiani, ma saranno ossi duri per chiunque laggiù. Peccato per la mancanza di Giasone Day a causa dell’ennesimo infortunio, ma meglio il solido An che un Day fuori forma e a rischio acciacco.
  4. L’Australian Open. La settimana scorsa, metà del team internazionale di Els era già giù ad allenarsi nel torneo di casa, così, per prendere le misure col terreno, il vento e i green terribili. Per dire: Oosthuizen è arrivato 2°, Leishman 10°, Smith 27° e Ancer 33° Ah…. Abraham Ancer, il primo messicano a giocare la Presidents, qui era pure defending champion, avendo vinto l’Australian Open nel 2018.
  5. Bahamas. Mentre il team di Els era in Australia, quello di Tiger era tutto (mancava solo DJ) a Bahamas per l’Hero World Challenge. Gli Yankees sono arrivati a Melbourne domenica notte dopo un volo di 23 ore. Il fuso non perdona, anche se sei giovane e bello.
  6. Koepka e Dustin Johnson. Il primo sarà assente per problemi al ginocchio e sostituito da Fowler; il secondo non gioca da settembre, da quando si è operato alla cartilagine sinistra. Un’incognita il suo stato di forma: vedremo.
  7. Esordienti. Sono ben 7 quelli internazionali, per carità, ma sono pure 5 quelli americani, tra cui Schauffele, Woodland e Cantlay che non hanno neppure esperienze di Ryder Cup.
  8. A proposito di Ryder: tranne Justin Thomas, nessuno degli statunitensi nel 2018 si degnò di giocare al National l’Open de France. Sappiamo poi come è finita quella Ryder. Forse un salto a Melbourne era meglio farlo prima.
  9. Patrick Reed. L’ex Masters champion l’ha fatta grossa, anzi, grossissima a Bahamas e il suo comportamento dalla waste area della buca 11 gli ha procurato 2 colpi di penalità e milioni di accuse sui social. Se la dovrà vedere con i probabili fischi del pubblico australiano (che Leishman e Smith chiedono a gran voce) e, anche se lui è abituato dalle esperienze passate in Ryder, stavolta i buuuuh saranno meno facili da digerire.
  10. Tiger. Per la seconda volta nella storia (la prima fu nel 1994 con Hale Irwin) abbiamo un capitano che è pure giocatore. Non sarà facile. E per nessuno sarà facile giocare con lui in doppio. La storia della Ryder ce lo insegna: al netto di Stricker, chiunque, con lui accanto, ha fatto fatica. Dalla sua, il fatto che, tranne venerdì, si giocano solo 18 buche al giorno. E poi comunque stiamo parlando di Tiger, raga, mica di pizza e fichi.

Comments

1 Comment
  1. posted by
    Beppe Oneglia
    Dec 10, 2019 Reply

    Complimenti per la completezza dell’analisi! Comunque godiamoci questi campioni,Oosthuisen in testa.

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