Dimmi come parli e ti dirò come giochi

Nessun golfista è perfetto. Si sa. Il punto però è un altro: in questo quadro di approssimazione tecnica nel quale ci arrabattiamo colpo dopo colpo, si tratta sempre e comunque sia di riuscire a trarre il meglio da ciò che siamo (giocatori mediocri, nella più fortunata delle ipotesi), sia di allestire uno spettacolo sportivo decente con quel poco che abbiamo a disposizione.

Ora: se in sacca abbiamo quattordici bastoni con i grooves decentemente puliti, possiamo comodamente affermare di essere già a buon punto nella messa in scena del nostro personalissimo show.

Aggiungiamo alla fornitura tecnica un abbigliamento consono (maglietta, pantaloncini e calze) e, magari per qualche improvvido secondo, potremmo anche pensare di essere a metà dell’opera.

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Manca però ancora qualcosa. Al netto ovviamente dello swing corretto (ma di quello siamo abituati tutti a fare a meno), a molti di noi fa difetto un decoroso linguaggio golfistico.

In tempi non sospetti, Michael Dummett scriveva che la lingua può essere uno specchio deformante, ma che è l’unico specchio che abbiamo nel quale mostrarci. E per questo motivo, un uso corretto delle parole del golf è lì a mostrare al mondo intero degli swingatori che razza di giocatori siamo: voglio dire, siamo golfisti improvvisati o golfisti maturi?

Sarà la difficoltà del lessico di origine britannica, sarà la pronuncia arzigogolata di certi termini tecnici, sarà quello che sarà, ma la verità vera è che molti di noi ignorano il corretto linguaggio del green.

Un esempio? Se giocate una gara a coppie in cui, a ogni colpo, voi e il vostro compagno potete scegliere la pallina migliore e ricominciare a tirare da lì, non state giocando una LUISONA. Nossignore: piuttosto siete impegnati in una semplice gara LOUISIANA.

E ancora: se l’orario di partenza è il cosiddetto teetime, le persone che invece divideranno con voi lo stesso tempo di gioco non sono il FLY. Assolutamente no. La vostra compagnia in gara non è uno sciame di mosche (fly in inglese significa mosca NdR), ma è un FLIGHT.

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Recentemente poi molti di noi s’incartano quando hanno a che fare con quei rari esempi di giocatori con handicap zero: sarà l’emozione di incontrarne uno in carne ossa e non solo per sentito dire, che spesso finiscono per definirli STRETCH. Ecco, no, questi giocatori, anche se magari hanno proprietà di allungamento muscolare importanti, non sono elasticizzati come certi tessuti. Solo certi ottimi jeans sono stretch. Piuttosto quelli con handicap zero sono semplicemente dei golfisti SCRATCH.

Se, infine, vi doveste imbattere nel colpo della vita, in quella buca in uno che tutti noi sogniamo di notte manco fosse l’unica via di fuga dalla crudeltà seriale del golf, state attenti: non raccontate agli amici di aver fatto una ALL IN ONE. Chi mastica l’inglese, potrebbe immaginarvi impegnati su un set di un film porno, più che in un’accesa partita di golf. Ragazzi, mi raccomando: si dice HOLE IN ONE.

Infine, più apprezzabili degli strafalcioni esterofili ma comunque da sottolineare con la matita blu, sono i nuovissimi termini gergali che abbondano lungo i rough di mezza Italia.

“Ho tirato una SPALANCATA” rende perfettamente l’idea di un colpo completamente aperto a destra e atterrato in un cap diverso dall’originario, ma, vi ricordo che l’esatta terminologia tecnica prevede l’utilizzo dell’espressione PUSH OUT.

E ancora: “un approccio a ROTOLONI” oggi può certamente sostituire il flemmatico CHIP AND RUN di britannica memoria, ma è anche vero, che, come sosteneva George Orwell, se il pensiero corrompe il linguaggio, allora anche il linguaggio può corrompere il pensiero e, di conseguenza, pure la corretta esecuzione del colpo.

Morale: golfisti, occhio a come parlate, perché il linguaggio è l’impronta che lasciamo quando passiamo. E se la parola in campo non è corretta, le nostre impronte potrebbero essere zolle, pardon, divot, più pesanti dei nostri strafalcioni lessicali.

(da Golf & Turismo, ottobre 2018)

 

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