Il golf del futuro si gioca a tutta birra

Se avete avuto la bontà di seguire su GolfTv le dirette dal Valspar Championship della settimana scorsa, forse vi sarete imbattuti nello swing mancino di un diciassettenne segaligno che risponde al nome di Akshay Bhatia: raga, se non lo sapete il tipino è il numero 1 del mondo tra gli juniores.

Qualche settimana fa, invece, al Waste Management Open, avete scoperto il talento e la potenza devastante (oltre che lo swing balengo a vedersi) di un altro dilettante da urlo, tale Matthew Wollf, di soli 19 anni.

Ora: cos’hanno in comune i due ragazzi, oltre al talento golfistico, è presto detto. Al netto della potenza devastante dal tee (per dire, Wollf la schioda a 350 yards dal tee NdR), sono entrambi allievi di George Gankas, il coach che dal suo campo pratica pubblico sta andando per la maggiore negli States. GG va forte soprattutto tra i giovanissimi e i promettentissimi.

Anzi, a dire il vero Gankas spopola. Non solo sui social. Non solo tra i ragazzi. Ma soprattutto con i risultati dei sui amateur (e pure di qualche pro, vedi Danny Lee). Ma che cosa insegna realmente GG?

“Non permetto ai miei allievi di emulare delle posizioni statiche perfette –spiega Gankas- non voglio che siano delle macchine: voglio che siano degli atleti, perché, diciamocelo, lo swing è un movimento atletico. Nient’altro. Prendi per esempio Matthew: è il tipico esempio del golfista che cerco. Cerco ragazzi che siano nati con il loro swing naturale: la mia esperienza suggerisce che i golfisti migliorano e progrediscono, quando si permette alle loro abilità innate di sbocciare al 100%”.

In sostanza, Gankas si rifiuta categoricamente di sacrificare la potenza dello swing a favore dell’ortodossia dello swing stesso: invece di essere interessato a insegnare backswing classici e posizioni neutrali, GG è più interessato a sviluppare e creare potenza e solo potenza. Non importa come: importa solo che la velocità della testa del bastone sia sempre tutta a gas aperto in discesa verso la palla.

Ma questa è la direzione verso cui fila diretto il golf del futuro prossimo: oltre trecento yards dal tee e pallina che viaggia sulle 180 miglia all’ora e passa all’impatto.

Prendete le medie del Web.com Tour (il circuito “minore” americano NdR) e confrontatele con quelle del Pga Tour: sono interessanti perché mettono a confronto un mondo dove l’età media è di 27 anni (Web.com) contro un altro dove l’anagrafe media è fissata sui 33 (Pga).

Ebbene. Nel circuito… “minore”, oltre 101 giocatori schiantano la palla a oltre 301 yards di media col driver; nel Pga Tour “solo” 60 players ce la fanno.

Che significa in soldoni tutto questo? Che, se è vero come è vero che dal Web.Com Tour arriva la stragrande maggioranza di giovani fenomeni del futuro, nei prossimi anni conosceremo professionisti che non giocano più un golf conservativo e tattico, ma che vanno per il cosiddetto “all in”: in parole povere, i tipini fini della prossima generazione la tireranno ovunque, però fregandosene delle conseguenze e prendendosi tutti i rischi del caso per cercare solo e sempre score più bassi.

Date un occhio sul Pga Tour ai numeri del giovane Cameron Champ (oltre 320 yards di media, e 178 miglia all’ora di velocità di palla) e capirete cosa intendo: ciao, ciao Dustin Johnson, ci vediamo 20 yards più avanti…!

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