La solitudine dei numeri del golf in rosa

In fondo non ci sarebbe niente di cui stupirsi, visto che per molti, anzi moltissimi, lo proverebbe anche l’acronimo per cui starebbe la parola Golf, ovvero “Gentlemen Only, Ladies Forbidden”. In parole povere: niente donne, il golf è un gioco per soli maschi.

In verità, c’è assai da stupirsi, se più di cinquecento anni di evoluzione golfistica -tanti quelli che sono trascorsi dalla notte dei tempi di Saint Andrews- non hanno granché allontanato dai nostri neuroni l’idea che questo sport sia in definitiva un gioco prettamente maschile.

E, se è vero com’è vero che la matematica non mente mai, puntualmente i numeri sono lì impietosi a dimostrarcelo: negli Stati Uniti, solo il 20% dei golfisti è di sesso femminile; nel Regno Unito, la Terra Santa dello swing, questa percentuale scende drasticamente al 17%. Decisamente meglio dei paesi anglosassoni, fanno la Germania (39%), la Svezia (33%) e, in generale, tutti quei paesi dell’est Europa che stanno scoprendo or ora il pianeta golf.

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In Italia, all’inizio di aprile il numero di donne swingatrici risultava essere 17.276 contro il 51.808 dei “colleghi” maschi: in poche parole, il pianeta in rosa del green azzurro rappresenta solo il 21% del totale. Per questo motivo, in piena rincorsa alla Ryder Cup 2022 e all’aumento dei tesserati, la Fig starebbe studiando progetti di sviluppo per il golf delle signore, valutando iniziative capaci di portare più ladies all’interno dei sodalizi nostrani in debito di ossigeno economico.

Altre cifre legate al mondo femminile raccontano che, al netto dei giri giocati su campi executive o par 3, ogni golfista donna giocherebbe in media all’anno non più di 20 rounds; questi numeri precipiterebbero a quota 11 quando l’età della giocatrice in questione è compresa tra i 18 e i 34 anni, per poi risalire a oltre 30 dopo i 65 anni.

“Inutile girarci intorno –spiega Paola Tacoli, un passato da proette e un presente da imprenditrice nell’azienda vinicola di famiglia Tacoli Asquini- noi donne viviamo con ritmi più serrati rispetto agli uomini. Abbiamo sulle spalle le responsabilità domestiche, familiari e pure quelle professionali. Siamo multitasking, ma, nonostante le nostre capacità di adattamento, è ovvio che in questo quadro d’impegno costante incontriamo serie difficoltà a ritagliarci del tempo per giocare a golf. Anche perché, si sa, il nostro sport richiede molte ore d’impegno e, tutto sommato, poche di noi se le possono permettere”.

“Siamo oneste –rincara la dose Barbara Paglieri, amministratore delegato della Paglieri Spa e da quattro anni presidente AGIS- se si ha un’età ancora lavorativa, tutte hanno delle agende stracolme d’impegni professionali e non possono certamente delegare tutti gli impegni familiari che contemporaneamente hanno. Quindi siamo costrette a sacrificare la nostra passione golfistica sull’altare del focolare domestico, mentre, al contempo, gli uomini sono decisamente più liberi di noi”.

Insomma, nonostante siano tempi di progresso e condivisione, sarebbe la solita, vecchia solfa a comandare la realtà femminile: seppur in pieno 3.0, il lavoro “sporco” tocca ancora alle donne.

Tradotto in chiave golfistica: addio allo swing.

Eppure, in questo quadro desolante di “impari” opportunità, arriva dagli States un punto su cui riflettere: una recente ricerca universitaria statunitense ha infatti dimostrato come, tra il 2013 e il 2015, l’aumento del 22% delle zone fitness e spa all’interno dei golf club a stelle e strisce abbia contribuito ad accrescere il numero di socie in club house.

“Non mi stupisco di queste cifre – specifica Giulia Sergas, proette con alle spalle sedici stagioni sull’LPGA Tour- ma al contempo rilancio: se all’interno dei club ci fossero più donne a ricoprire incarichi di peso, probabilmente i numeri legati al golf femminile sarebbero migliori. E lo dico con cognizione di causa, avendo testato con mano le realtà di sodalizi come Udine, Montecchia, La Serra e Asiago, circoli dove le donne ricoprono ruoli chiave e dove le percentuali di golfiste sono decisamente più alte rispetto alla media. Voglio dire: noi donne abbiamo una sensibilità diversa e per certi versi più spiccata circa il tema ladies e golf”.

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Giulia Sergas con alcune giovani fan

Non è dunque un caso se proprio ad Asiago, per volontà della presidentessa Irene Gemmo, si disputerà a fine giugno la più ricca pro am italiana con 40,000 euro di montepremi. La particolarità? Sarà un torneo coniugato al femminile, con ben 30 proette (4 italiane e 26 straniere) invitate a prendere parte all’evento. E ancora: nello scorso mese di marzo, presso il sodalizio della Montecchia, tutte le donne non golfiste potevano provare gratis l’emozione della prima volta dello swing.

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Ma è proprio a questo punto che la domanda sorge spontanea: come si sta promuovendo il golf femminile nel resto del mondo? Per ora, per reclutare nuove adepte, ci si affida a siti specializzati come ForeWomen.co.uk o Womensgolfjournal.com, ma al contempo si punta moltissimo sulla collaborazione delle star dell’LPGA Tour del LET in occasione delle cosiddette Giornate delle Donne. Anzi, per amore della precisione, il prossimo Women’s Day sarà festeggiato il 5 giugno a livello mondiale: il golf in rosa si celebrerà infatti in 46 diversi paesi, su 701 campi e vi si prevede (forse ottimisticamente) una partecipazione di ben 29mila donne.

“Ma attenzione –rincara la dose Antonella Manuli, imprenditrice del settore agricolo e vitivinicolo con La Maliosa – fintanto che i club non svilupperanno la volontà strategica d’incentivare le bambine a giocare, resteremo sempre in un circolo vizioso. È vero che oggi le donne adulte non giocano o giocano poco e ciò succede anche perché non hanno sufficienti amiche con cui farlo, ma proprio per questo motivo il fattore di aggregazione femminile deve partire sin dalla giovanissima età”.

“E magari –continua Manuli- per una volta, bisognerebbe anche provare a immaginare percorsi non più pensati solo dai tee maschili: perché, diciamocelo, in generale per le donne, con tutti quei legni 5 in mano per il green, il golf è molto meno divertente che per gli uomini”.

“Sul tema campi –aggiunge Paola Tacoli- sono perfettamente d’accordo con Antonella, ma ho la netta sensazione che sia un gatto che si morde la coda: se non ci sono donne, perché progettare campi per donne?”.

Eh già.

(da Golf & Turismo, maggio 2018)

 

Comments

1 Comment
  1. posted by
    Carlo de Rysky
    May 22, 2018 Reply

    Cara Isabella, avendo una figlia femmina che gioca, sai come comprendo questi problemi. Tuttavia sul problema dei campi si potrebbe fare molto di più con poco. Basterebbe seguire (con serietà ed attenzione) il progetto “family course” della PGA usa. Dei tee dedicati permettono di rendere piacevole qualunque campo, se sono piazzati con intelligenza e non solo utilizzati per sforbiciare le distanze

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