Padraig Harrington: fai la cosa più semplice

La teoria quantistica sostiene che è solo quando si oppone resistenza alla materia, che si evolve.

Ecco. Carnoustie, quel links dal carattere ostico e burbero che si affaccia nel vento impetuoso della baia di Dundee, è l’esempio perfetto per la dimostrazione del teorema testé accennato: storicamente, qui, chi non ha opposto resistenza alle mille variabili della materia che circonda il percorso, è stato spazzato via dagli annali golfistici; al contrario, chi ha combattuto, è assurto nell’olimpo sportivo.

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Carnoustie Golf Links

Sarà per questo motivo e per mille altri ancora, che a Carnoustie, lo storytelling che va per la maggiore è quello che ripercorre le disfatte cruente, più che le vittorie meritate, i crolli improvvisi, più che i sogni avveratisi.

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Jean van de Velde alla 18 di Carnoustie

Nell’Open Championship del 2007, l’ultimo fino a oggi tra quelli disputatisi in quel links maledetto, Padraig Harrington è stato a un centimetro dal soccombere, inghiottito per ben due volte dal Barry Burns, il ruscello che, con le forme sinuose di un serpente, taglia la 18 sull’atterraggio del teeshot e su quello del secondo colpo al green.

“Diciamo – racconta Padraig durante l’evento Titleist svoltosi a Gardagolf durante l’Open d’Italia– che in quell’occasione ho avuto quello che si definisce un ottimo self talk con me stesso: dopo aver spedito il drive in acqua, mi sono ripetuto che c’erano molti modi di fare un 4. Poi, dopo il droppaggio, quando sono finito nuovamente nell’ostacolo d’acqua con il ferro 5 al green, ho scoperto che ce ne potevano essere altrettanti per fare 6”.

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Padraig Harrington con la Claret Jug del 2007, vinta a Carnoustie

Da lì fece uno strepitoso up and down, in effetti…

“Sì, colpii un lob perfetto e poi imbucai il putt per il doppio bogey. Ma, vede, se i tornei si giocassero tutti dalle 40 yard in giù, li vincerei tutti io…”

Cosa pensò sul putt finale, quello che valeva lo spareggio?

“Quello che penso sempre in quelle circostanze. In quei momenti il segreto è cercare le rendere le cose semplici, per cui mi concentrai innanzi tutto sul target, quindi su un filo d’erba appena dietro la pallina, e rimasi lì a fissarlo, finché non sentii il rumore della buca”.

Ma i nervi, quelli veri, come si combattono in situazioni simili?

“Non si combattono: si accolgono. Perché se si accolgono si ottiene anche una miglior concentrazione. Voglio dire: se sei un campione, il tuo momento preferito è quando sei sotto pressione. È lì che vuoi essere. È per quello che lavori, perché significa che sei in lizza per qualcosa di grosso. Tutti noi siamo nervosi in certe situazioni; la differenza fondamentale è tra chi combatte questo nervosismo e chi invece lo accoglie a braccia aperte, traendone forza”.

Prima diceva che il segreto è rendere le cose semplici. Ma se c’è un titolo Major di mezzo è possibile?

“Guardi, quell’anno, a Carnoustie, mentre mi preparavo sul putting green al play off contro Garcia, mio figlio rincorreva le palline che colpivo e le allontanava tutte dalla buca. Vedi, mi disse Bob Rotella che era al mio fianco, alla fine è solo un gioco. E aveva ragione. Ma, una cosa ho imparato in tutti questi anni: che il golf è soprattutto un gioco di attitudine”.

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In che senso?

“E’ importantissimo il modo in cui parli a te stesso in campo, come ti tratti. Personalmente, quando gioco, cerco di sentirmi felice. Se le cose non girano come vorrei, tra un colpo e l’altro, mi continuo a ripetere che sono fortunato, che credo in me stesso e che devo essere ottimista. È come un mantra, ormai”.

Che altri segreti ha, soprattutto sui links?

“Beh, per quanto riguarda la tecnica, ovviamente è importante che il volo della palla sia basso. Sui colpi al green, quando il vento è contro, bisogna scegliere un paio di bastoni in più e swingare più lentamente del solito, così da non imprimere spin alla palla in volo, altrimenti verrà inghiottita dall’aria. Nel gioco corto, invece, cerco sempre una traiettoria antivento, ma questa volta con più spin. Colpisco mantenendo sempre il peso a sinistra, non lo sposto mai da lì. Non metto mai le mani troppo avanti all’address, piuttosto sento di appoggiarmi a sinistra con tutto il corpo. L’idea poi è quella di lasciar scivolare il bastone sul terreno, senza prendere la zolla. Ovviamente, però, in entrambi i casi sono necessarie due condizioni: avere i grooves dei bastoni puliti e giocare con una palla performante, che spinni in modo consistente. La mia è la ProV1: al contatto, è più soffice della ProV1x e per questo motivo mi sembra di poterla colpire in modo aggressivo, il che sui green veloci è fondamentale. Agli amateur che giocano invece su green più lenti, consiglio la ProV1x”.

Un’ultima domanda: in tutti questi anni di Tour, cos’ha scoperto su se stesso?

“Mah, la verità è che tutto quello che dovevo scoprire su me stesso, l’ho scoperto proprio alla 18 di Carnoustie, nel 2007”.

(da Golf & Turismo, luglio 2018)

Comments

1 Comment
  1. posted by
    Interactiveonlinemathtutorials
    Jul 16, 2018 Reply

    Isabella Calogero, thanks for the article post.Really thank you! Great.

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