Perché non bisogna avere paura dell’errore

La domanda che ogni neurogolfista accanito si pone ogni qual volta mette piede al campo pratica è “come posso passare da un movimento svantaggioso a uno vantaggioso?”.

La risposta, di solito affidata ai coach, è duplice: tra loro, c’è chi crede nelle 10mila e più ripetizioni di swing corretti capaci di creare la giusta memoria muscolare, e chi, invece, ragiona in modo diverso, cercando di sviscerare cosa, all’interno dello swing che ha di fronte, sia efficace e cosa no.

Luca Salvetti fa parte di questa seconda parte dell’umanità golfistica.

Coach di golf da trent’anni, una laurea in Scienze Motorie, Luca è un professionista della PGA ed è tutor di PGAs of Europe: tra l’Inghilterra e l’Italia allena diversi atleti di tutte le categorie e di tutte le età.

Sulla base dei suoi studi e della sua esperienza, Salvetti si è convinto fortemente di una cosa: che esistono perfezioni tecniche che non si possono raggiungere.

Perché? “Perché ogni atleta è un caso a se stante: non possono esistere regole tecniche che valgono per tutti, dal momento che siamo tutti completamenti diversi. Voglio dire: guarda il leaderboard del Genesis Open appena concluso! Nei top 20 non c’era un atleta che avesse il backswing uguale a un altro. Quindi, la prima cosa che un buon coach deve fare è rispettare il patrimonio biologico di chi ha di fronte”.

Che significa? “Significa che il mio primo passo è conoscere le asimmetrie del corpo del mio allievo, perché sono quelle che lo obbligano a un certo movimento, il che si traduce nella conoscenza di quegli squilibri che sono genetici. Solo dopo entra in gioco quella che io chiamo l’amplificazione dell’errore”.

E sarebbe? “Dopo questa prima fase di studio, si guida l’allievo in determinate prove. Se c’è una parte del corpo che si muove male, allora cerco di amplificare ciò che fa di sbagliato, ovvero l’errore”.

E perché, mi scusi? “Perché questa amplificazione rende subito l’atleta consapevole del fatto che ciò che sta facendo è svantaggioso e lo induce inconsciamente a cercare soluzioni basandosi sulle sue caratteristiche fisiche”.

In buona sostanza, la regola aurea del coaching di Salvetti è questa: trovare ciò che funziona per te. Non per Bryson DeChambeau. Non per Tiger Woods, Per te. È una metodologia che parte dalla persona e dal rispetto dei suoi equilibri interni che non si possono alterare.

“Per migliorare –continua Salvetti- non si deve fare sempre tutto giusto e non si deve andare a cercare il limite, perché invece ciò che conta è la sostenibilità dello swing. Noi italiani abbiamo purtroppo questo enorme difetto: siamo terrorizzati dall’errore. Invece è cosa buona e giusta essere in grado di accettare e di gestire lo sbaglio: quando ci riusciamo, è in quel momento che siamo performanti”.

Come sosteneva Colin Montgomerie, guarda caso amico di  lunga data di Luca Salvetti, “lo swing non deve essere perfetto, perché ogni giorno sarà diverso e dunque lo saremo anche noi. Ogni prestazione non sarà immune da errori, ma sarà la gestione di quegli errori a fare la differenza”.

Provare il metodo Salvetti per credere.

Personalmente l’ho provato da un anno e questi ultimi 12 mesi, nonostante tutto quello che è successo e tutte le difficoltà, sono stati un viaggio golfistico straordinario.

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