Phil Mickelson, quando l’età non conta

Una stagione 2018 così così, qualche acciacco qua e là, una batosta in Ryder Cup, i 49 anni che si appropinquano… Sarebbe potuta bastare la cupezza di questi pensieri per far credere a Filippone Mickelson che, in fondo, in fondo la vita gli aveva già riservato il meglio e che era ovvio che del suo golf un tempo stellare restassero solo le briciole.

Insomma, dai, ci si poteva pure stare: un conto in banca solido, 43 vittorie sul Pga Tour e 5 major è un bottino che farebbe stare comodi sul divano col telecomando in mano e una birra ghiacciata accanto la maggior parte di noi comuni mortali. Ma, si sa, Phil non è un tipo che ha paura. Non è un tipo che per paura si appiattisce su abitudini e rituali stanchi. Phil è un tipo che rischia: per lui, come direbbero i suoi amici gambler, tutto si riduce a un “all in”, o a niente.

Per cui, dopo il pugno in faccia assestatogli da Chiccuzzo Molinari nel singolo di Ryder Cup, come un Mike Tyson d’antàn, Filippone si è rialzato dalle corde più convinto di prima. E si è messo sotto con un obiettivo in testa: centrare lo US Open (che a giugno si giocherà a Pebble Beach), o niente. Quindi, ha radunato il suo staff che comprende anche Greg Rose, il fisioterapista biomeccanico, e Sean Cochran, il fido preparatore atletico, e insieme hanno studiato e analizzato i dati del Boditrack e della Kvest, per rilevare i punti deboli dello swing e migliorarli sotto ogni aspetto, fisico e tecnico.

7ed7617e-de44-41c3-baa8-f03531fc6db6

“Per un atleta di quasi 49 anni – spiega il preparatore atletico Cristiano Cambi- le basi devono essere flessibilità, coordinazione e sequenza biomeccanica corretta. Se ricordiamo il balletto divertente postato da Phil su Instagram qualche settimana fa, ci colpisce l’ampiezza del movimento di roteazione della gamba all’altezza dell’anca e la coordinazione del campione statunitense”.

Le stesse cose le ha dichiarate pochi giorni fa lo stesso Mickelson: “La mia longevità dipende dal lavoro che ho svolto con Cochran dal 2003: lui non ha mai cercato di ingrossarmi i muscoli, piuttosto ha cercato di fare in modo che le funzioni del mio corpo lavorassero nella maniera corretta”.

Ma questo non è l’unico segreto dietro la carriera di Phil e il suo recente successo a Pebble Beach nell’AT&T National Pro Am: l’altro, più evidente è il suo swing.

IMG_2606

“Non ho mai messo troppa pressione sul mio fisico durante il movimento –ha spiegato il campione americano- ma anzi ho sempre cercato di fare in modo che la lunghezza del mio arco creasse la velocità giusta, piuttosto che ricercare uno swing corto e violento”.

Insomma, negli oltre 20 anni di onorata carriera, il mancino non si è mai neppure sognato di avvicinarsi ai dettami dello swing moderno che pure tanto forti andavano di bocca in bocca nei driving range di mezzo mondo. Non si è mai piegato a quella tecnica che imponeva (e tuttora impone) ai giocatori di resistere il più possibile con i fianchi nella fase di backswing al fine di creare un enorme differenziale di rotazione con la schiena, per poi scaricare tutto l’accumulo di energia nell’impatto con la palla.

Nossignore. I fianchi di Phil e, soprattutto le sue anche, hanno sempre lavorato liberamente, senza inutili costrizioni, a differenza della maggior parte di quanto stavano facendo (e fanno) i suoi colleghi di Tour.

“Dopo anni di studi –riprende Cambi- si è capito che alzare il tallone sinistro e liberare l’anca destra nella fase di salita del bastone comporta una minor pressione sulla schiena e dunque un minor numero di infortuni al torso”.

Come un secolo fa sosteneva Jack Nicklaus, uno che il tallone sinistro lo alzava a bomba, “un grande giocatore di golf avrà problemi alle anche, uno scarso alla schiena”.

Ora, mentre Mickelson alza la coppa vinta domenica scorsa a Pebble Beach, la domanda da porsi è: che ne pensa Tiger delle parole dell’Orso d’Oro? Ah, saperlo….

 

 

Leave A Comment

Your email address will not be published. Required fields are marked *