Punti di arrivo, di vista e di (ri)partenza golfistici (e pure di vita, va)

Beh, che volete che vi dica: quella lì, quella col codino allacciato col fiocchetto, con la berretta di traverso e lo sguardo di sbieco sono io. O, almeno, ero io.

1989: avevo appena vinto il Campionato Internazionale di Spagna, che all’epoca era poco meno di un campionato europeo; di lì a poco avrei siglato una doppietta tutta italiana, andando a prendermi quello che secondo me mi spettava di diritto: il campionato nazionale match play vinto a Varese e poi quello medal conquistato a Cà della Nave.

Oplà, così, in souplesse. Senza colpo ferire, senza sbagliare un ferro, senza un’emozione da dimenticare. Voglio dire, raga: quella era proprio roba mia. Me la sentivo di mia proprietà. Mi apparteneva. Per tutto il lavoro che c’era dietro, per tutte le rinunce fatte, per il talento che avevo, per non aver mai smesso un secondo di dubitare delle mie capacità, per aver avuto la forza di non aver mai dato retta a chi mi diceva che non ce l’avrei mai fatta. E invece, tiè: eccomi lì, pure infighettata a bombazza, sulla copertina di un giornale.

Che potevo volere di più? Moltissimo, in verità, ma, sapete che c’è? C’è che l’inesperienza è una brutta bestia e che, invece, l’esperienza, quando ce l’hai, il più delle volte è troppo tardi e non ti serve più a niente: e non è forse questo il paradosso più bastardo della nostra esistenza?

Insomma, me ne stavo lì, mi guardavo nella foto e pensavo –sbagliando- che, cavolo, oramai devo essere sbarcata al fatidico, classico punto di arrivo. Quello dove tutti i grandi mirano. Il problema è: ma che arrivo era, dopo tutto? Cioè, a quale fermata del treno in corsa ero scesa esattamente ? A che punto di arrivo ero della mia vita?

A vedermi oggi, a 50 anni compiuti, ero solo una scema presuntuosetta e viziata  alla prima fermata del bus di linea per la vita, ma tant’è.

Quando sei giovane, è facile scambiare una vittoria, due vittorie, tre vittorie per un dorato punto di arrivo. Sei giovane, pensi che il punto altissimo fin dove sei stata capace di arrampicarti, ti cambierà la vita. Io aspettavo, tronfia, che la vita bussasse alla mia porta e mi dicesse: ehi sono qui, sono tua, cambierò, fai di me ciò che vuoi. Ma la vita non cambia se non sei tu a cambiare. La vita non sta lì a farsi bracconare, se non sei tu che te la vai a cercare con la fame di un lupo mannaro.  Ma questo l’ho imparato molto dopo.

Nel frattempo, passavano i mesi, ma al mio personalissimo e comodissimo punto di arrivo tutto restava identico e anche io, continuavo a fare le stesse cose di prima, gli stessi errori, sempre di più, perché l’ansia che nulla cambiasse nella mia vita, annebbiava la  percezione del reale e all’improvviso, mi ritrovavo pure ad arrabbiarmi ogni tanto, ma comunque più spesso di prima. E poi, all’improvviso, sempre meno: invece di essere una giovane stella glitterata che danzava leggera sui green vellutati, ero diventata una pallosa stalattite marmorea, ferma immobile alla stessa casella umida del Monopoli della mia esistenza. Non riuscendo più, per paura, a immaginare un futuro, non mi restava che guardare indietro: ero vittima di un paradosso nefasto, quel desiderio che avrebbe dovuto proiettarmi in avanti, mi sbalzava indietro.

A un certo punto, la rabbia salvifica: tutt’a un botto, ho iniziato a capire che ogni stramaledetto punto d’arrivo, qualunque esso fosse, era una fregatura immensa, perché ogni stramaledetto punto di arrivo finisce sempre e solo su un binario morto. Che se poi da lì non hai un diverso punto di partenza, resti fermo a farti levigare il cervello dalle paturnie, come fossi un sasso eroso dal vento.

Con questa nuova consapevolezza in tasca al posto dei tee, da allora preferisco i punti di vista a quelli di arrivo: non amo più arrivare, mi piace viaggiare. I punti di vista mi regalano un orizzonte più ampio, e, a sua volta, un orizzonte più ampio mi permette di scegliere un nuovo punto di partenza. E scegliere e ripartire è bellissimo, sempre: perché è vita. La vita è meravigliosa, perché è sempre e solo un continuo decidere e ricominciare.

È quando si smette di riprovare, ricominciare, ripartire, riprendere, che puoi dire bye bye al mondo. Che metti un punto talebano e definitivo su tutto. E io, sinceramente, ai punti talebani e  definitivi, ho sempre preferito i punti e virgola: ti regalano quella pausa giusta per ritrovare un nuovo punto di vista. E ricominciare. E ve lo dico, qui, ora e subito: sto ricominciando di nuovo. Perché me lo dice l’oroscopo, perché Saturno si è levato dalle balle dopo due anni di smenamenti, e perché ho vita davanti che voglio andare a prendermi.

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