Rory: aggiungo un posto al wedge

Dodici tornei giocati, 1 vittoria al TPC, 8 top ten, 5 top 5. Eppure. Eppure c’è voluto il successo di domenica sera nel Canadian Open (il 2° della stagione, ottenuto con 7 colpi di vantaggio e arrivato giusto, giusto a una settimana dallo US Open e alla 13a gara del 2019) per far smettere ai guardoni delle cose del green di arricciare il naso davanti all’andamento sportivo di Rory McIlroy.

Un andamento lento, sottolineavano, se è vero come è vero, che da quando è comparso sul palcoscenico mondiale, Rory è giudicato solo in base a come gli vanno le cosucce ad Augusta, l’unico torneo dello Slam a mancargli nelle tasche, esattamente come a noi comuni mortali mancano le chiavi della macchina quando stiamo per partire per il weekend. E siccome quest’anno al Masters non è che il nordirlandese sia stato esattamente un Rambo in assetto di guerra, eccole lì le critiche a non finire: Rory non sa chiudere; gli manca la cattiveria; non è un lottatore; non mette la palla vicino all’asta quando ha i wedge in mano; il caddie non funziona; scompare quando il gioco si fa duro; il pushout dal tee è dietro l’angolo, ecc ecc. E poi, nonostante tutto, McIlroy va in Canada, si porta un wedge in più (un 48°) rispetto ai soliti 3, e con quello vince e convince.

Rory McIlroy

Perché la verità vera è che il golf, la vita, solo questo sono: ciò che ci accade in un respiro profondo tra un nonostante e l’altro. Nonostante la fatica. Nonostante gli acciacchi. Nonostante il caddie. Nonostante gli haters. Nonostante gli avversari. Nonostante il putt. Nonostante la sfortuna. Nonostante tutto. Ma alla fine, è proprio così che fanno i campioni: non prendono mai il “nonostante” come un segno di resa, ma come una sfida in più da vincere.

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