Dicono che nel mondo delle ipotesi tutto sia possibile e che il domani non lo conosce nessuno.

Senza andare troppo lontani, questa teoria trova grandi fondamenti in ciò che è accaduto domenica ad Abu Dhabi: la vittoria di Lee Westwood nella 15° edizione del torneo (la sua 25° sul circuito europeo NdR) era certamente un’ipotesi poco condivisibile dai guardoni delle cose del golf; al contrario, con la coppa in mano, l’ipotesi di un suo tremendo hangover del lunedì (o, più italicamente, di un suo mal di testa post-sbornia-post-trionfo) era una certezza assai salda nelle teste di ognuno di noi. E, infatti, così è stato: Westwood ha vinto alla grande, ha festeggiato alla grandissima, e stamane ha postato online i postumi evidenti della mega sbronzona che (giustamente) si è concesso. 

Morale: del domani non vi è certezza tranne che di alcune certezze. Le quali sono poche, per carità, ma per fortuna ci si può fare sempre affidamento manco fossero un sand iron nelle mani di Garcia.

Ora, gli imprevisti piacevoli della vita (come la vittoria di Lee) sono fatti per regalarci momenti di inaspettata felicità, ma anche per fermarci a riflettere. E, in tutta onestà, circa il successo di Westwood ci sarebbe molto da dire e da applaudire: su ogni cosa, però, resta evidente la vittoria di un 47enne in un mondo golfistico che ogni giorno di più pare dominato dai ventenniqualchecosa. Ed ecco finalmente il domandone che ci riguarda tutti da vicino: esattamente come l’inglese, come si può restare competitivi anche nella mezza età? La risposta credo che, più che nelle motivazioni (che sono dei sentimenti e dunque delle variabili assai instabili, soprattutto nell’arco di una carriera come quella di Westy che dura da un quarto di secolo), sia da cercare nella disciplina. Nell’impegno. Nella capacità di entrambi di supportare i desideri.

Quindi: se vuoi coltivare qualcosa, beh, coltiva il tuo impegno. E datti da fare. Ora.