Westwood, quando l’amore guarisce il putt

La regola recita che solo l’Agenzia delle Entrate viene a strimpellarti al citofono a scadenze regolari, le gioie mai.

Eppure, siccome le regole sono fatte per essere infrante, succede che a casa di Lee Westwood e di Matt Kuchar la gioia della vittoria arrivi a intervalli che più regolari di così si muore.

Per dire: prima di domenica scorsa, cioè prima del successo in dolby stereo di entrambi (Lee ha trionfato in Sudafrica e contemporanemente Matt in Messico), tutti e due non vincevano uno straccio di torneo esattamente dal 20 maggio 2014: in quella data l’inglesone aveva siglato il torneo della Malesia, mentre il lungagnone statunitense si era portato a casa il titolo dell’RBC Hertitage.

Da allora “zeru tituli”, ma solo una spiccata vocazione di entrambi a collocamenti discreti (a volte anche discretissimi) in classifica. Che poi, nella maggior parte dei casi, a una certa età, questi stessi piazzamenti sono il primo indizio per un lento ma inesorabile tramonto di carriera. E invece, tiè: eccolo il colpo di scena in duetto di domenica.

Ora: non mi esprimo su Matt Kuchar, che poco, anzi pochissimissimo conosco, mentre due parole su Westwood mi piacerebbe scriverle.

In questi ultimi anni, Lee è passato attraverso un trasferimento infruttuoso e probabilmente ormai a tempo scaduto sul Pga Tour, un divorzio tipo Guerra dei Roses, svariate magagne finanziarie, la fine di un’amicizia solida e ultraventennale, avvocati, cause tentate e accordi extragiudiziali, una Ryder vergognosa (2016) e via dicendo.

Insomma, dal 2014 a oggi la vita fuori dal green di Westy è stata una tranquilla passeggiata di paura su un campo minato. Giù nelle classifiche, sempre più basso, dove chi non ha le ali per volare, resta fino alla fine. Dove chi non ha le ali di un amore nuovo, non riesce a rialzarsi.

Per Lee, quell’amore nuovo ha il nome di Helen Storey, 38 anni, la mora che era sulla sua sacca a Valderrama e poi pure al Nedbank in Sudafrica.

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E niente, passano i secoli, i campioni, i major, ma la verità è e resta sempre identica a se stessa: che è l’amore –non gli swing, i coach, il putt- che cambia le cose e le persone. Che è l’amore quel detonatore potente che ci fa capire che certe situazioni nella vita vanno davvero lasciate andare e altre allontanate. Che è l’amore quella forza per dedicarci a noi stessi che ci mancava da tempo. Che è l’amore quella fiducia di cui necessitavamo per controllare il nostro modo di credere nel futuro e di rialzarci dopo le ferite. Che è l’amore quel balsamo lenitivo che ci concede la giusta percezione dell’esistere nell’eterno qui e ora. Che è l’amore quella visione che ci permette quegli slanci eroici di speranza, nei quali rivedere la migliore proiezione di noi stessi nel futuro. Perché sì, con l’amore al fianco possiamo sopravvivere a tutto. Perché siamo di nuovo forti. Perché alla fine, non è più importante vincere o perdere. Importa solo la lezione che abbiamo imparato per la prossima occasione. Perché ci sarà sempre un’altra occasione. E se avremo imparato ad amare di nuovo, quelle stesse difficoltà che ci hanno sotterrato l’ultima volta, non ci faranno davvero più paura.

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