Tommy Fleetwood, o la gioia del draw

Timido, sorridente, umile, gentile, romantico. In una parola: assolutamente delizioso.

Tommy Fleetwood, l’attuale numero 1 europeo nella Race to Dubai, è il classico bravo ragazzo della porta accanto, che tanto piacerebbe persino alla peggiore delle peggiori suocere astiose del pianeta. E non solo per il conto milionario in banca, diciamocelo.

Il problema, se vogliamo definirlo problema, è che Tommy è innamorato pazzo della sua Claire: basta nominarla, perché al ragazzo spunti in volto quel mix di rossore e sorriso che solo i grandi innamoramenti sanno procurarci. Se poi, come Tommy, sei un giocatore del Tour, il love della vita a volte è capace di stravolgerti non solo il cuore, ma anche la carriera, trasformando improvvisamente i tuoi risultati da buoni a stellari. Non è un caso, dunque, se proprio di questo aspetto abbiamo parlato con lui…

Il 2017 è stata la stagione della sua consacrazione a livello mondiale: cos’è cambiato tecnicamente o mentalmente rispetto agli anni precedenti?

“E’ stata una combinazione di eventi. Nella mia vita privata ho fatto un grande passo in avanti: mi sono innamorato di Claire, a fine settembre è nato nostro figlio, sono felice come non mai e ho anche comprato una nuova, grande casa vicino a Southport dove siamo andati a vivere insieme”.

E tecnicamente?

“Sono tornato al mio draw naturale! Negli anni passati ho sempre cercato di combattere questa mia tendenza che è assolutamente naturale, per cercare di avere un volo di palla diverso, più dritto, magari in fade. Per ottenerlo, ho lasciato il mio coach Alan Thompson che mi seguiva da quando avevo 12 anni, per mettermi nelle mani di Pete Cowan. Ma non ha funzionato. A volte accade. I suoi credo tecnici non corrispondevano con i miei ed è stato un periodo golfisticamente molto complicato. Allora ho provato a lavorare da solo, ma è praticamente impossibile, per cui sono tornato da Alan e ho accettato, anzi, ho finalmente accolto il mio draw naturale. Ed è stata subito felicità”.

Qual è il punto di forza nel suo swing?

“Il follow through corto. L’ho sempre avuto e questo mi consente un minor uso delle mani e un maggior e migliore utilizzo dei grandi muscoli. In più sono per Dna molto reattivo: non sono un tipo massiccio, alto o grosso, ma sono davvero molto veloce e questo mi permette di tirare forte e lunga la palla”.

E cosa invece deve ancora migliorare?

“Il gioco corto e soprattutto il putt. Se sono in forma con lo swing, centro molti green e fairway, per cui se riuscissi a imbucare un po’ di più, ma solo un po’, sarebbe un progresso pazzesco”.

Ha un approccio analitico o intuitivo al gioco?  

“Ho provato a essere analitico in passato, ma non ha funzionato granché, ma si cercano sempre nuovi metodi che possano aiutarti e possano rappresentare il meglio per te e il tuo gioco. Ma quando si tenta una strada nuova, il pericolo è dietro l’angolo, perché si rischia di perdere quello di buono che si ha. Per cui credo che il segreto sia provare ogni giorno a segnare minuscoli progressi, senza stravolgere quella che è la tua tendenza naturale”.

 

(da Golf & Turismo, ottobre 2017)

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