La vicenda di Paige Spiranac

La vicenda di Paige Spiranac, la bionda bonazza regina del web invitata a giocare l’Omega Dubai Ladies Masters, la ricca tappa finale del circuito femminile europeo, impone una riflessione.
La tettoruta golfista americana, in campo su gentile concessione degli sponsor ammaliati dai suoi 400mila follower, non ha passato il taglio di metà gara e ha concluso la sua fatica a pochi colpi dal fanalino di coda del leaderboard. Il che ci dimostra innanzi tutto che se l’abito non fa il monaco, due pere grosse come l’Alsazia non fanno di certo la golfista. Ma chi ancora ha un pizzico di granu salis in testa questo lo sapeva già: ben altro ci vuole per giocare sotto al par e non basta di certo un seppur splendido-splendente profilo Instagram. Piuttosto, ci vogliono lavoro, dedizione e tecnica: tutti talenti professionali che Paige sembra possedere a carriolate davanti all’obiettivo fotografico, ma per ora non sul campo da golf.
In definitiva, intenet e i social network producono sì bellissime immagini, ma cancellano i concetti, finendo con l’atrofizzare la nostra capacità di astrazione: solo così si spiega la delusione post torneo di Paige e dei suoi fans, i quali forse hanno confuso qualche scatto patinato in canotta e shorts all’apice del bacskwing per una reale capacità golfistica.
D’altronde, per essere dei campioni ci vuole sì le physique du role, ma anche e soprattutto il pelo. E a furia di cerette, quel pelo la Spiranac potrebbe averlo lasciato una volta per tutte dall’estetista.
Eppure, nonostante la modestia di gioco dell’americana, resto convinta che bene, anzi benissimo, abbiano fatto gli sponsor a invitare la Spiranac a Dubai, anche se con questa mossa hanno creato qualche velato malumore tra le professioniste: con la presenza della bonazza in campo, infatti, hanno garantito a se stessi e al torneo una copertura mediatica inaspettata, oltre a qualche foto da sballo sui quotidiani. E Dio solo sa se oggi i Tour femminili non hanno bisogno anche e soprattutto di queste cose.
Capisco che è sportivamente triste, ma la praticità innanzi tutto: visto che nel bene e nel male sono comunque sempre gli uomini che dettano legge nel mercato globale del golf, tanto vale dare loro ciò che desiderano. Tette, culi e score come farebbero loro.