2018, l’anno dello swing su misura

Se vi siete mai chiesti perché Sergio Garcia swinghi in quel modo che tutti conosciamo e invece Martin Kaymer muova il bastone su e giù con una traiettoria che non pare nemmeno lontanamente parente della tecnica dello spagnolo, beh, la risposta è in quest’articolo. O meglio, la risposta che cercate è in quello che comunemente viene chiamato “il bio-swing” di Mike Adams.

Ora: per chi non lo sapesse, Mike Adams -il dottor Swing, come è stato ribatezzato dai suoi adepti- è un tipo che studia dal punto di vista biomeccanico la tecnica del movimento del golf da trentacinque anni e che su questo argomento ha pubblicato la bellezza di diciotto libri: insomma, è uno che, quando si parla di backswing e downswing, sa decisamente il fatto suo. Per dire: quest’anno la Pga of America lo ha posizionato al secondo posto nella speciale classifica dei suoi coach più influenti. In buona sostanza, il nostro Mike è il Federer della tecnica dello swing.

Grazie all’ausilio della scienza moderna e attraverso cinque diversi test fisici oggettivi, Mr. Adams ha messo a punto le basi scientifiche affinché ogni golfista sulla faccia della terra possa swingare nella maniera a lui più naturale, congeniale e funzionale.

Tradotto: nel tentativo di estrarre l’oro dal potenziale di ogni giocatore e nel contempo di preservarne la salute fisica, oggi, grazie agli studi di Mike Adams, i coach sono in grado di adattare la tecnica al corpo del golfista, piuttosto che, come si è fatto fino a ieri, imporre al suo fisico una tecnica standardizzata e uguale per tutti.

Il risultato è che, a differenza del passato, non esiste più un modello monolitico di swing da far rispettare e da far copiare universalmente, ma ne esistono tanti quanti sono le caratteristiche fisiche di ognuno di noi.

Chiamatelo swing naturale, swing biomeccanico, bio-swing, chiamatelo come vi pare, ma il risultato è che oggi è la nostra antropometria a determinare come muoveremo il bastone e non più un manuale di tecnica standardizzata.

“Grazie a questi studi -spiega il pro Paolo Battistini– quando ci troviamo di fronte un qualsiasi golfista che si appresta a fare una lezione, il nostro lavoro si è semplificato: attraverso i cinque test fisici messi a punto da Mike Adams, abbiamo immediatamente dei risultati oggettivi, che ci forniscono una base certa su cui far praticare il nostro allievo”.

“Fondamentalmente -continua il pro Alessandro Pizzi- si tratta di calcolare l’apertura alare, la lunghezza del braccio rispetto all’avambraccio, di valutare la velocità dei fianchi e la massima rotazione e infine di verificare come si piega naturalmente il braccio destro del giocatore. Con questi numeri in mano, possiamo stabilire con assoluta certezza quali siano per lui il grip, il set up, l’address e il piano dello swing migliori, perché più adatti ai suoi parametri fisici”.

Per dire: Sergio Garcia è uno dei pochi pro del Tour ad avere un avambraccio più corto rispetto alla parte superiore del braccio stesso. Proprio per questa sua caratteristica fisica, in fase di downswing è costretto a “droppare” violentemente il bastone, prediligendo un piano più piatto rispetto alla media. Al contrario, Martin Kaymer vanta un avambraccio più lungo (e dunque più ingombrante) rispetto alla parte alta del suo braccio e di conseguenza il piano della sua discesa verso la palla deve per forza di cose essere decisamente più verticale rispetto a quello dello spagnolo. Ma non solo: per determinare quale tipo di grip si adatti meglio ai parametri fisici del golfista, il test che valuta come naturalmente cade il braccio destro è fondamentale.

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Angel Cabrera, che per Dna ha il palmo della mano destra rivolto verso il terreno, gioca infatti con un grip della mano destra debole; al contrario, Zach Johnson, il cui palmo è per sua natura più rivolto verso l’alto, ha un’impugnatura della mano destra molto forte. In ogni caso, nessuno di questi due campioni avrebbe ottenuto i risultati che ha conseguito, se i rispettivi grip non avessero rispettato i propri parametri fisici.

A dirla tutta, secondo Mike Adams, nella storia del golf, solo un uomo è stato in grado di giocare alla grandissima con tre diverse impugnature della mano destra: Tiger Woods. Ma proprio per questo motivo, e cioè per aver per anni praticato contro la sua tendenza naturale, l’ex numero 1 è andato incontro a tutti gli infortuni e agli acciacchi fisici che conosciamo.

“Non ammettere la validità dei risultati del lavoro di Adams –aggiunge il biomeccanico Cristiano Cambi– sarebbe come voler imporre a Pirlo di calciare le punizioni col piede sinistro e non col destro: lo può fare, ma probabilmente il numero dei gol non sarebbe lo stesso. La verità è che è la nostra antropometria a determinare con che swing è preferibile che si giochi, ma non solo. Infatti, in base ai risultati dei test di Adams, possiamo anche stabilire quale sia la migliore preparazione fisica da seguire: voglio dire, oggi le basi come forza, forza resistente, ecc. devono restare il punto di partenza comune a tutti, mentre la parte funzionale e dinamica dell’allenamento atletico può e deve essere studiata su misura”.

Sempre secondo Mike Adams, infatti, esistono tre diverse forze nello swing, che a loro volta determinano che tipo di golfista siamo. Sono tutte misurabili e sono: lo spostamento laterale, la forza rotazionale e la forza verticale.

Tra i pro dei Tour mondiali, solo lo swing di Justin Rose presenta un sostanziale equilibrio delle tre forze; in tutti gli altri, invece, esiste sempre una chiara predominanza di una forza sulle altre. Nel caso di un maggior spostamento laterale, si avrà un giocatore “glider” come Matt Kuchar; se invece è la forza rotazionale a farla da padrone, avremo di fronte un golfista “spinner” come Rory McIlroy, e, infine, se è la forza verticale a dominare, si tratterà di un “launcher” come Justin Thomas.

La nuova preparazione atletica si basa dunque anche sulla rilevazione di queste ultime caratteristiche fisiche e tecniche: se non esiste più un solo swing da manuale, allora non deve nemmeno esistere un allenamento in palestra standardizzato per tutti.

Morale: siamo tutti dei potenziali campioni di golf; l’importante è esserlo nella misura più adatta a noi.

(da Golf & Turismo, dicembre 2017)

 

 

 

 

 

 

 

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