E’ il bastone chiuso il Santo Graal dello swing moderno?

Come si cambia: fino a poco tempo fa, un qualsiasi maschio swingatore del pianeta avrebbe preferito uscire a cena con Gemma di “Uomini e Donne” piuttosto che avere la faccia del bastone chiusa all’apice del proprio backswing.

Oggi, dopo che Jon Rahmbo Rahm e Dustino Johnson hanno preso a pallate il campo e il field in entrambi i Wgc, prima in Messico e poi in Texas, il bastone chiuso, quello con la faccia che guarda Dio dritto negli occhi lassù in cielo, pare essere divenuto il Santo Graal dello swing moderno.

DJ, Rahm, ma anche il segaligno Fitzpatrick, il boscaiolo Holmes e, anche se in minor misura, il rude Koepka: sono solo alcuni tra i pro della new generation che si distinguono per la posizione poco ortodossa del loro polso sinistro all’apice del backswing.

I vantaggi? Miglia assicurate in più dal tee e con i ferri. Perché? Perché il bastone chiuso all’apice torna all’appuntamento con la palla deloftato: un ferro 8, di base, all’impatto si trasforma in un ferro 6. Ma non solo: l’ultrasonica velocità di rotazione dei fianchi necessaria a riportare il ferro square sulla terra genera e aggiunge ulteriore velocità alla testa del bastone, sommando altre yard al carry dei colpi. E ancora: con i fianchi all’impatto con la palla necessariamente rigirati verso il bersaglio (se in quel frangente la media del Tour dell’apertura dell’angolo dei fianchi è di 30°, Dustino è a 45°), l’azione delle mani è per forza di cose meno accentuata, anzi, praticamente inesistente: “Il primo a ipotizzare i vantaggi della faccia chiusa all’apice del backswing –spiega Massimo Scarpa- è stato Sean Foley. Anni fa, analizzando i dati del Trackman, si accorse che una posizione del genere creava maggiore ripetitività rispetto a una posizione neutra. Sostanzialmente, spiegava Foley, più si usano i fianchi, meno le mani entrano in azione e dunque di conseguenza c’è una minore rotazione della faccia del bastone attraverso l’impatto con la pallina”.

Ma in questo cambio di mentalità swingatoria c’è alle spalle anche un pizzico di tecnologia: “Da una parte –continua Scarpa- gli shaft moderni hanno meno torsione rispetto a quelli del passato e dunque aiutano il giocatore a mantenere la faccia del bastone stabile anche se all’apice del back era chiusa. Tutto sta ovviamente a rigirarsi nella maniera corretta con i fianchi nel downswing. Inoltre le nuove palline non hanno più bisogno come un tempo della famosa manata all’impatto per guadagnare velocità alla partenza: oggi l’azione delle mani può (e deve) restare assolutamente neutra”.

Problemi? Su tutti, sostanzialmente due: il primo, se la rotazione dei fianchi in fase di downswing non è sufficientemente rapida, i ganci-cielo a sinistra si sprecano; il secondo, l’eccessiva sollecitazione della schiena che potrebbe ridurre i tempi della carriera.

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“Uno swing fluido e stilisticamente perfetto come quello di Adam Scott – sostiene Mario Tadini – sicuramente mette minor pressione sul fisico di un giocatore rispetto a quello di Dustin Johnson. Ma è anche vero che oggi è troppo presto per rischiare previsioni: la tendenza del bastone chiuso è appena iniziata, vedremo cosa succederà solo tra qualche anno”.

Nel frattempo, DJ & Co. se la godono, fregandosene della perfezione stilistica e pure della forza di gravità, che pare nulla possa contro le loro mitragliate dal tee.

Morale: a osservare da vicino l’azione tecnica di questi campioni, “swing your swing” sembra essere il mantra che questa nuova generazione di fenomeni ci incita a provare. Al netto degli acciacchi, s’intende.

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