Quando il golf ti manda in corto circuito

Lasciatemelo dire: ogni molecola che noi swingatori neurolabili ci portiamo addosso non fa altro che ripeterci: scappa a giocare a golf. E, come se non bastasse, queste minuscole particelle schife ci stalkerizzano con così tanta foga e prepotenza che verrebbe quasi da pensare che, se è vero come è vero che da tempo gli scienziati hanno diagnosticato lo shopping compulsivo, non si capisce allora perché non s’inizi a studiare anche la golfite acuta. Perché, raga, confessiamocelo: il disagio esiste.

Per dire: un elettricista australiano, tal Tom Colella, è stato licenziato in tronco perché frequentava troppo assiduamente i campi da golf: al 140simo giro di 18 buche che giocava di straforo invece di essere a riparare black out, corti circuiti e guasti, il buon Tom è stato colto in flagrante e silurato dall’azienda praticamente mentre era all’apice del backswing (che nel frattempo aveva migliorato moltissimo).

Ora: come riusciva a frodare i capi? Semplice: avendo un telefonino intestato alla società con dotazione Gps che lo tracciava in ogni dove, quando Colella decideva di fare sega al lavoro per andare a smazzare da qualche parte, riusciva a rendersi irreperibile infilando il cellulare in un sacchetto di alluminio di patate. Ma un bel giorno, quelle patate che lo avevano sempre salvato, evidentemente sono diventate bollenti e lui è rimasto scottato (e disoccupato): da allora si è reinventato come taxista Uber nella natia Australia.

Ora: quale lezione si può trarre dalla vicenda? Beh, forse una sola: che nulla come il golf sa fare andare in corto circuito i neuroni degli swingatori. Perché, diciamocelo: se sulla via del green c’è rimasto folgorato un valido elettricista, figuriamoci a noi golfisti neurolabili cosa può accadere. Per cui, occhio, raga: il disagio esiste.

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