Andy Sullivan: datemi dell’egoista

“Egoiste, egoiste” urlavano qualche tempo fa dalle finestre di un palazzo parigino decine di bellissime donne, pazze di rabbia, a un fidanzato bastardo nella famosa pubblicità Chanel.

Dall’avere un’accezione negativissima, l’aggettivo “Egoiste” (o, meglio, “Selfish” nella versione britannica), assume invece tratti positivissimi sul Tour: non a caso, tutti i campioni del green desiderano essere – e in molti casi lo sono – più egoisti dell’uomo medio in generale, che già di suo -diciamocelo- non scherza affatto.

Lo vuole Rory McIlroy, la cui transizione da ragazzo della porta accanto a divo inaccessibile si è consumata assai velocemente tra una super vittoria e l’altra: “Non mi vergogno di essere egoista –ha dichiarato recentemente il nordirlandese- Devo esserlo, perché voglio vincere e perché voglio che il mio nome resti negli annali del golf e per riuscirci, è necessario essere e comportarsi in quel modo. Non c’è nulla di male nel volerlo: in fondo la gente non desidera vedere dei vincenti in campo? Ecco: per riuscire a esserlo, bisogna comportarsi da egoisti. Tutto qui”.

Si sa: il talento non basta per essere dei campioni, c’è bisogno anche tantissimo lavoro alle spalle, ma, evidentemente, pure quel goccio di sano egoismo non ce lo dobbiamo scordare.

Anche un tipo accattivante e sempre disponibile come Andy Sullivan, uno perennemente col sorriso Durban’s stampato sul volto che non ti aspetti abbia un lato oscuro, la pensa come Rory: “Vorrei essere più centrato su me stesso e sulle mie necessità. Vorrei rispettare di più i miei tempi. Un tempo, da ragazzo, ero felice di poter dare una mano agli altri, ma alla fine questo è un gioco che riguarda solo te e basta, non te e gli altri. Devi imparare per forza di cose a pensare di più a te stesso, a padroneggiare al massimo il tuo tempo e a fare quelle cose di cui sai che hai necessità invece di fare ciò che gli altri ti suggeriscono di fare”.

Insomma, Andy, diciamocelo: per avere successo sul Tour, bisogna diventare dei ragazzacci?

“Ahahahaha! Non è proprio così che stanno le cose. Secondo me, per giocare bene, devi essere felice in campo e per essere felice in campo devi provare a essere quel tantino più centrato su te stesso. Là fuori invece vedo un sacco di ragazzi che in gara non sono contenti di quello che stanno combinando, non sono mai sorridenti: forse dovrebbero prima di tutto pensare di più a se stessi”.

C’è qualche altra qualità necessaria per essere un campione?

“La perseveranza. Guarda Sergio Garcia: nonostante tutte le sue disavventure nei major, nella sua testa non ha mai smesso di pensare e di credere di poterne vincere uno e alla fine ce l’ha fatta al Masters di quest’anno. E in fondo è per questo che noi ogni settimana giochiamo un torneo diverso e continuiamo a provarci: perché ci crediamo. È solo questione di avere la forza di aspettare la settimana giusta e di attaccare quando si ha l’opportunità di farlo”.

E’ questa la magia del golf?

“La magia avviene in green, quando finalmente smetti di pensare alle statistiche, ai numeri, alle percentuali, a come stacchi il bastone, a come colpisci la palla, e all’improvviso inizi a pensare solo a imbucare, a provarci ogni volta. Le cose migliori, quelle magiche, ti accadono quando inizi a giocare per il meglio e per il tuo meglio. Quando smetti di essere difensivo e parti all’attacco”.

Riassumendo: un pizzico di talento, molto lavoro, un goccio di sano egoismo, dieci grammi di perseveranza, un briciolo di magia, un chilo di killer instinct et voilà, il campione è servito su un piatto d’argento.

 

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