Chi c’è dietro Tiger?

Se Zygmunt Bauman, il padre della società liquida, avesse giocato a golf, facilmente avrebbe apprezzato la fluidità del gesto tecnico. E, messo di fronte alle mille variabili che la salita e la discesa del bastone verso la palla comportano, avrebbe velocemente teorizzato che lo swing è liquido come l’acqua. Che, insomma, non è un qualcosa di stabile, ripetitivo e assodato, ma che, come tutto l’universo e come la società in cui viviamo, è in continua trasformazione.

Ma noi golfisti lo sappiamo già: lo swing è qualcosa che, colpo dopo colpo, passo dopo passo, si va a plasmare sul nostro eterno cambiamento nello spazio. Finemente incastrato nella relazione esistente tra la nostra testa e il nostro fisico, il gesto tecnico si adatta velocemente ai nostri cambi di umore, al nostro grado di stanchezza come a quello di euforia, alla nostra memoria come alle nostre aspettative, al campo che ci circonda come alle condizioni meteo che ci sovrastano.

Lo swing insomma è un puzzle complicatissimo in cui non tutte le tessere sono percepibili alla vista. Per questo motivo (e per mille altri ancora) esistono gli swing coach: perché quattro occhi sono meglio di due, quando anche due, spesso e volentieri, non sono sufficienti.

In quest’ottica riassumibile in un banalissimo “two is megl che one”, appare davvero rivoluzionaria la decisione di Tigerone Woods di non affidarsi più ad alcun allenatore: in campo da giovedì nel Farmers Insurance Open, nella sua prima apparizione del 2018, l’ex numero uno sfodererà il suo ennesimo (il quinto) swing, quello ereditato dalla lunga collaborazione con il giovane Chris Como, silurato a dicembre dopo l’ottimo torneo giocato a Bahamas. E se in questa settimana tutto il mondo dei guardoni delle cose golfistiche sarà concentrato su ogni mossa –tecnica e non – di Woods e sarà pronto a coglierne pulviscoli di forza o di debolezza tra un passo e l’altro lungo lo scenografico percorso di Torrey Pines, personalmente mi sento più interessata proprio a quest’altro aspetto della vicenda tigeresca: un campione del calibro del Fenomeno può riuscire a far da sé in campo pratica?

 

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“Non credo che lavorerà da solo”, racconta Federico Bisazza, coach della nazionale maschile. “Certamente Tiger sa di tecnica così tanto da provare ad autogestirsi –continua- ma comunque avrà sempre bisogno di qualcuno che, magari con una collaborazione spot, gli analizzi i video e i dati di Trackman e quant’altro”.

Della stessa opinione il coach di Golf Project, Paolo Battistini: “Tutti i pro fanno un controllo periodico dei dati del BodyTrack, del Trackman e della K-Vest e hanno bisogno di qualcuno che, in questo campo, dia loro una mano: se Tiger non lo facesse, secondo me butterebbe alle ortiche tutto l’ottimo lavoro svolto con Chris Como. Un giocatore come Woods è paragonabile a una Ferrari di Formula 1: è una macchina tirata per andare al massimo, ma, proprio perché deve andare al massimo, ha regolazioni minime che prima o poi saltano. Ed è lì che un coach tecnico fa la grande differenza, anche solo a livello psicologico, rassicurando il giocatore con poche parole”.

Eh già, l’aspetto mentale: per dire, non è raro venire a conoscenza di campioni (Justin Rose con Sean Foley, per esempio), che, solo per avere un check e ricevere fiducia, inviano video dei propri swing perfetti ai coach quotidianamente.

“In questo frangente –spiega Bisazza- è incredibile però notare quanto poco i giocatori conoscano del proprio swing, o meglio: magari ne sanno, ma non riescono ad autogestirsi. Se poi iniziano a non ottenere risultati, la fiducia crolla immediatamente al minimo ed è lì che il coach bravo sa fare la differenza, visto che di solito si tratta di correggere swing diversi uno dall’altro per pochi centimetri, se non millimetri. Per questo motivo, due occhi in più servono sempre, soprattutto sulle cose più semplici, quelle che se dette bene sanno alleggerire la mente del giocatore”.

Nel frattempo Tigerone pare fregarsene altamente e va avanti da solo lungo la strada tortuosa del suo attesissimo ritorno: con un takeaway molto meno “stretto” rispetto a quello che aveva con Sean Foley, con il bastone meno incastrato nel downswing ma più davanti al corpo, con una maggiore velocità di braccia a sopperire quella mancante nella schiena, con i fianchi che in discesa non anticipano più così violentemente come un tempo, Tiger, a dirla tutta, pare swingare alla grandissima. Che poi sia tutta farina solo del suo sacco come sostiene lui, lo scopriremo magari un altro giorno. Nel frattempo, forse ne parlerà lui con Patrizione Reed e Carlone Hoffman, quelli con i quali disputerà i primi due giri del torneo a Torrey Pines.

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