Chiedimi se sono felice

Sono una di quelle derelitte che sulla calda battigia estiva soffre e sbuffa sotto l’ombrellone. Uno di quei pochi esemplari umani che in estate desidererebbe ardentemente stare in una qualsiasi località a tacca zero delle Highlands scozzesi. O comunque a nord – molto a nord – del parallelo di Parigi.
Non è che rompo, è solo che detesto il caldo, il sole, l’umido e l’appiccicaticcio. Ergo, detesto il mare ferragostano e i capelli che da lisci effetto seta in un nanosecondo si arrotolano su se stessi in un crespo selvaggio da far invidia al Kunta Kinte di “Radici”.
Dunque sopravvivo all’estate ligure (ormai umida come il delta del Mekong) in una tonalità bianca latte da Zombie sotto il sicuro riparo dell’ombrellone. E leggo. Leggo. Leggo. Leggo praticamente per legittima difesa.
Per questo durante lo scorso caldissimo week end mi sono imbattuta in un articolo da giornaletto sulla trita e ritrita ricerca della felicità. Ed è stato allora che mi sono detta che forse noi golfisti, proprio per la passione sportiva che ci contraddistingue, potremmo essere un passo avanti rispetto agli altri lungo il tortuoso sentiero verso il personalissimo nirvana.
La storia è questa: se è vero, come sosteneva Oscar Wilde, che la felicità non è avere quello che si desidera, ma desiderare ciò che si ha, allora, secondo il solito ricercatore dell’ultimo minuto, ne consegue che per essere felici innanzi tutto bisogna porsi degli obiettivi realistici e raggiungibili. (Anche) In questo caso, dunque, la parola d’ordine per ottenere le chiavi del paradiso sarebbe “sostenibilità”: tradotto, significa affidarsi a piccoli passi, con target chiari e possibili, cercando di assecondare i nostri veri desideri. Ed è lì che mi è venuto in mente il golf, dove troppo spesso nell’ansia della prestazione ci dimentichiamo del colpo che stiamo per tirare, per concentrarci piuttosto sulle mille conseguenze (solitamente nefaste) che questo stesso piccolo, insignificante colpo potrebbe avere sullo score.
Se invece imparassimo a giocare un minuscolo colpo alla volta, assaporando fino in fondo il gusto del tiro in fieri, dimenticandoci della bandiera, della buca successiva, del punteggio, della cena da preparare, della lavatrice da scaricare, di quella telefonata da fare e dunque del futuro, sono certa che miglioreremmo una cifra.
A piccoli passi, restando ancorati al presente e archiviando piccoli obiettivi uno dopo l’altro, ci avvicineremmo alla fine delle 18 buche senza neppure essercene accorti.
Potremmo imparare questa tecnica sul green, per poi esportarla nel tran tran quotidiano. Ed è a quel punto che potremmo essere pronti per sussurrare agli amici: “Chiedimi se sono felice”…

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