Del come Tyrrell Hatton ha fatto una bella leva a Paul Azinger

Domenica notte l’inglese Tyrrell Hatton ha centrato a Bay Hill il suo primo titolo sul suolo americano, andando a conquistare il prestigioso Arnold Palmer Invitational. E, a dirla tutta, vittoria non poteva essere più dolce in un momento in cui era proprio la validità del golf del Vecchio Continente a essere messa sotto scacco dai commenti dei più alti esponenti del giornalismo golfistico statunitense.

Solo una settimana prima, infatti, nel corso del weekend dell’Honda Classic in cui Tommy Fleetwood la stava facendo da padrone, Paul Azinger, dall’alto della sua cabina televisiva, sosteneva a gran voce che in sostanza fin quando Tommy non avesse vinto un torneo del Pga Tour, non sarebbe stato nessuno, perché solo i tornei americani hanno quel prestigio che ti permette di fregiarti del titolo di campione.

Dimenticava Azinger che Fleetwood aveva già vinto sull’European Tour cinque titoli altisonanti e che, insieme ad altri undici europei, aveva contribuito a massacrare il team a stelle e strisce nell’ultima Ryder Cup, quella stellare di Parigi.

Ma Azinger non era l’unico a soffrire di amnesie golfistiche: Amanda Balionis, intervistando lo stesso Tommy alla fine del terzo giro dell’Honda Classic, gli chiedeva come sarebbe stato vincere per la prima volta, salvo poi, di fronte a un Tommy che con gentilezza britannica le ricordava che qualche titolo se l’era già portato a casa, fare finta di nulla e continuare imperterrita con le domande.

Ora, di fronte alla twittarola alzata di scudi da parte dei più importanti CAMPIONI europei che sui loro social hanno letteralmente preso a sberle Paul Azinger, mi domando se davvero valeva e vale la pena condannare l’americano a una gogna mediatica del genere.

Voglio dire: si sa, gli americani sono imbevuti dell’America First esattamente quanto noi italiani siamo imbevuti del “Culo Mio First” (e in questi giorni non mancano le immagini per ricordarcelo, semmai ce ne fosse bisogno).

E poi, sì, ha ragione Azinger: i tornei del Pga Tour sono quelli più ricchi di moneta, più ricchi di punti del World Ranking, più ricchi di top ten mondiali. Ma, e dico ma, sono anche quelli che, a parte rare eccezioni (Honda, Memorial TPC, API, Quail Hollow e pochi altri), si disputano su percorsi che paiono degli aeroporti tanto sono generosi green e fairway. Percorsi che paiono dei banali “birdie makers”. Percorsi che –diciamocelo- livellano verso il basso la qualità del gioco. Per cui, in tutta onestà, non vedo perché, stando alle parole di Azinger, si dovrebbe definire “campione” un Sebastian Munoz che ha vinto una volta sola al Sanderson Farm 2019 e non un Fleetwood che di titoli ne ha 2 ad Abu Dhabi, 1 a Gleneagles, 1 all’Open di Francia e 1 al Nedbank. E dico e sottoscrivo questo, ovviamente, con tutto il rispetto per Munoz.

Però, alla fine, le parole contano poco, contano i fatti. E allora, dopo tutto, al netto delle polemiche azingeriane, la risposta migliore alle dichiarazioni anti europee del mite Paul l’ha data proprio un altro inglese, Tyrrell Hatton, andando a vincere domenica sera a Bay Hill, in uno dei templi del Pga Tour.

La morale è che, se un tempo si diceva “omnia vincit amor”, beh, anche “omnia vincit una bella leva” non ce lo scordiamo mai.


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