Dustin, quando il lavoro duro è quello che non si vede

Darwin applicato al golf: se è vero che nelle tragedie da triplo bogey quello che sopravvive non è il più forte, ma semmai il più veloce a dimenticare, altrettanto vero è che oggi nel golf dei pro quello che vince parrebbe essere non più il normotipo, ma il longilineo.

Prendete il neo numero 1 del mondo, Dustino Johnson: è alto 1 metro e 96 centimetri per 87 kili di muscoli flessuosi.

Insomma, se un tempo altezza era sinonimo di mezza bellezza, oggi altezza nel golf significa molto, ma molto di più: con le leve lunghe e con una maggiore compressione sul terreno in fase di downswing, un ferro 6 diventa come un ferro 5/4 di un golfista alto 1,75; se si è alti, insomma, si possono raggiungere le medesime distanze, ma con bastoni più aperti e precisi.

Non è dunque un caso se il buon DJ a Città del Messico, in altura, ha coperto 322 yards con un ferro 1: roba da far impallidire il John Long Daly dei tempi andati. Ma nel caso specifico di Dustino, oltre all’altezza, c’è molto di più.

Per dire: il suo preparatore Randy Myers, uno che è famoso per studiare le connessioni tra le capacità fisiche di un golfista e il suo swing, ha calcolato che i percentili atletici di DJ sono gli stessi di un giocatore medio della NBA. E ancora: se non lo sapete, Johnson è capace di schiacciare all’indietro con due mani la palla a canestro.

Tantissima roba.

Maniaco del core stability e del lavoro funzionale, nell’ultimo giro del WGC di Città del Messico appena vinto, Dustin ha dato prova delle sue potenzialità fisiche non tanto per le miglia coperte con il driver dal tee, quanto soprattutto per due colpi dal bunker: il primo, alla 15, dalla trappola di sabbia a sinistra del green; il secondo, dal bunker, sempre di sinistra, del fairway della 18.

In entrambi i casi, mentre lottava per la leadership del torneo, DJ si è trovato la palla molto più in basso rispetto ai piedi ed era quindi in una posizione di equilibrio assai precario (all’ultima buca i suoi piedoni erano addirittura parzialmente fuori dalla sabbia). Nonostante le difficoltà dello stance, Dustino ha saputo tenere incollate le gambe al terreno, manco fossero edera avvinta ai muri di un a casa in rovina.

Tradotto: è stato in grado di gestire la parte inferiore del corpo in una solida stabilità a dispetto della dinamicità dell’azione e della tensione emotiva del momento.

Il birdie della 15 e il par della 18 gli sono valsi il secondo titolo dell’anno e la conferma del numero 1 mondiale.

Morale: quando DJ gioca a golf, il suo golf è un compendio, un saggio, un’enciclopedia dell’atleticità.

Ci si nasce con certe caratteristiche, per carità, ma ci si lavora anche tanto, anzi tantissimo. Solo che noi umani non vediamo i campioni mentre lavorano duramente sul proprio talento. Perché, per dirla alla Paolo Sorrentino, il talento è un universo che ognuno di noi ha nel suo interno, nascosto sotto la quotidianità, la pigrizia, la routine. E ci vuole perseveranza e fatica per farlo fruttare.

Ecco: Dustino Johnson ci ha messo un po’, ma alla fine ha capito che ogni potere golfistico è composto di pazienza e tempo. Pazienza per superare i miliardi di imprevisti lungo il cammino, e tempo da dedicare al duro lavoro e alla fatica. Fino a poco tempo fa Dustino conosceva solo un briciolo di pazienza, adesso conosce anche il valore del tempo. E i risultati si vedono.

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