Guido Migliozzi: “E adesso vado a bomba”

Ci sono cose, là fuori, che non si possono comprare neppure con un pacco di euro. E, a dirla tutta, per queste cose qua, a volte i soldi sono pure un deterrente.

Ecco: queste sono quelle cose che sono più facili da succhiare nel latte materno, che da acquistare con un generoso bonifico in banca. Sono la grinta, il carattere, il coraggio, la personalità netta e, perché no, pure il talento, che quello non guasta mai.

Guido Migliozzi, 22 anni da Camisano Vicentino e una vittoria nel recente Kenya Open dell’European Tour, ogni volta che parte per un nuovo torneo del circuito del Vecchio Continente, tutte queste belle cose qua se le porta dietro a mazzi. Non impacchettate dentro la valigia insieme ai vestiti da golf, ma nel profondo del suo Dna.

E’ nato così Guido: tosto, ribelle e talentuoso. È che lui ci sguazza nell’adrenalina, esattamente come noi sguazziamo con la scarpetta nel ragù.

“La verità –mi racconta al telefono da casa sua- è che io godo proprio a giocare sotto pressione. Cioè, alla 72sima buca del Kenya Open, quando ero in testa e avevo bisogno del par per vincere, ero carico a bomba. Ho tirato il ferro 4 dal tee, era perfetto, e ho subito fatto un passetto in avanti. E lì mi sono sfogato. Poi sono arrivato in fairway, all’altezza della mia pallina: era messa bene, a una distanza che mi piaceva, da ferro 8. E sai che è successo?”

No, che è successo?

“Che io il centro del green non l’ho manco guardato. Io ho guardato solo la bandiera. E infatti ho centrato l’asta in pieno con i secondo rimbalzo”.

Ok, la tua natura golfistica è aggressiva, però, subito dopo aver conquistato la carta a inizio dicembre, mi avevi giurato che avevi imparato a essere paziente, a saper attaccare solo al momento giusto…

“E invece, adesso sai che c’è? C’è che con la certezza di avere la carta confermata anche per l’anno prossimo grazie alla vittoria in Kenya, posso finalmente dar sfogo a tutta la mia vera natura: da adesso in poi vado aggressivo, niente lay up”.

Dici sul serio?

“Sì, però… vabbè, dai, un po’ di prudenza ho imparato a usarla. Giuro”.

Cos’altro hai imparato in queste poche settimane sul Tour dei grandi?

“Tantissimo. In ogni torneo respiro cose nuove.  Prendi la gara dopo quella che ho vinto: il Maybank Championship in Malesia. Ho giocato con Stephen Gallagher, che guarda caso ha dominato domenica scorsa in India. Beh, in Malesia Stephen non prendeva una pista manco a morire. Né col driver, né col legno 3: un colpo era a destra e quello dopo era a sinistra. Però lui non ha mai perso la calma e non mollava mai: anche dopo un gancione, ricominciava tutto daccapo con la sua solita routine. Pazzesco da vedere. Oppure, mi viene in mente Scott Hend, che in Malesia ha anche vinto: beh, il tipo avrà pure 46 anni, ma lì, al Maybank, non mollava mai nulla al campo, anche se qualche pattino lo ha mancato anche lui. Insomma, voglio dire: a questi campioni non fa mai difetto né l’agonismo, né la giusta dose di cattiveria verso il percorso. C’è solo da imparare a vederli in azione”.

Sei arrivato in Malesia da vincitore di un torneo dell’European Tour: gli altri giocatori si approcciavano in modo diverso?

“Guarda, ho ricevuto un sacco di complimenti. E io per primo, dopo il successo in Kenya, mi sento un’altra persona. In Malesia mi sembrava che mi cercassero tutti: persino i commentatori inglesi della tv sono venuti in campo a complimentarsi, perché gli era piaciuto come avevo giocato la settimana prima. E poi, beh, poi c’è Ernie…”

Cioè?

“Allora: ero in hotel e stavo andando verso l’ascensore, quando sono passato davanti al bar. In quel momento mi giro e vedo Ernie Els, seduto al bar, che mi osserva: ci siamo praticamente incrociati con lo sguardo e io l’ho guardato come fosse il Papa. Morale: lui mi chiama e mi dice: vieni qui. E a quel punto mi dice quanto gli sono piaciuto in campo in Kenya, quanto mi sono mosso bene, e alla fine mi ha augurato il meglio per il mio futuro. Tanta roba. Come pure il tweet di complimenti ricevuto da Gary Player: wow!”

E adesso che sei un campione, che si fa?

“Si torna a competere, ma con la consapevolezza di avere la carta piena per il Tour: nelle prossime settimane sarò in Marocco, poi in Cina e infine al British Masters. E potrò partecipare anche alle Rolex Series, non solo all’Open d’Italia. Queste certezze accrescono di molto la mia tranquillità di gioco e non è poco, anzi.”

Quanto ha inciso anche il successo di Francesco Molinari, che tra l’altro ha vinto all’Arnold Palmer sette giorni prima di te in Kenya?

“Guarda, Chicco sta dando una carica pazzesca a tutti noi azzurri. Ci sta regalando la consapevolezza che anche noi italiani sappiamo giocare bene a golf. E che possiamo migliorare grazie al lavoro serio”.

E tu, su cosa stai lavorando?

“Ho sistemato il putter, dopo qualche incertezza sui green dell’Oman e del Qatar che avevano una bermuda con un nap fortissimo sul quale non avevo mai giocato. Poi, una volta in Kenya, su green più simili a quelli europei, il lavoro svolto ha dato i suoi frutti. Ma non solo: grazie a Massimo Scarpa, sto imparando a gestirmi meglio in campo. Dopo anni passati a migliorare lo swing con i numeri del Trackman che Nick Bisazza sa interpretare come nessun altro, adesso ho bisogno di qualcuno che mi aiuti a portare questi miglioramenti in campo e a fare poco. Adesso è ora di giocare sul serio”.

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