Il golf di Tiger ha perso 24 metri

Giudicare il rientro di Tiger dopo sole 36 buche è come giudicare la presidenza Trump dopo soli otto giorni di Casa Bianca: è un esercizio di stile, più che una critica consapevole.

Epperò, pur riservandomi il diritto di cambiare opinione magari già dal prossimo torneo di Dubai, esiste un dato matematico che riguarda il golf dell’ex numero 1 del mondo che a oggi non si può ignorare: si tratta della velocità della testa del bastone.

Se è vero che oggi il Taylor Made M1 di Tigerello viaggia infatti verso la pallina a 114 miglia orarie, significa allora che rispetto al passato il Fenomeno ha perso per strada ben 8 miglia.

Significa che il suo driver si schianta sulla sua Bridgestone con una velocità ridotta di quasi 13 km orari.

Significa che, almeno dal tee, Tiger gioca col freno a mano tirato.

Significa infine –ed è questo il dato più importante- che Woods ha lasciato sul lettino operatorio 24 metri di distanza dal tee (col driver, 1 mph equivale circa a 3 metri NdR).

Non è un caso infatti se la sua media drive a Torrey Pines sia stata di 299 yards (contro le 320 di Dustino Johnson) e che il suo drive più lungo sia stato alla buca 7 del primo giro, quando ha toccato le 303 yards di distanza.

Certo, il clima freddo e umido di Torrey Pines non aiutava un quarantenne che non era fisicamente al 100%; in più il campo era bagnato e infatti si piazzava e la palla non rotolava più di tanto.

Ok, è vero. Ma tutto questo avrebbe in fondo poca importanza se non fosse però da collegare alla percentuale di drive in pista di Tiger, da sempre l’univo, vero tallone d’Achille del suo golf. Perché, guarda caso, è qui che casca l’asino, o, se preferite, la tigre.

Nei due round di Torrey Pines, l’americano h centrato solo il 50% delle piste (nelle statistiche di precisione dal tee del Pga Tour, oggi Woods si attesterebbe in 212° posizione NdR).

Ok, nella sua carriera l’ex numero 1 ha sempre giocato dal centro bosco più che dal centro pista, e comunque, anche dai nidi dei cuculi ha vinto ogni torneo che Dio manda in terra, mi direte voi.

Vero. Il problema semmai sta nel fatto che in passato giocava sì dalle foreste, ma da 24 metri più avanti.

Ora: tirare dal rough affamato di Torrey Pines un ferro 6 al green invece che un ferro 8 cambia la prospettiva. E cambia gli score, purtroppo.

Un ferro 6 dal rough si traduce in meno possibilità di fermare la palla nei pressi del green; si traduce nella necessità di più salvataggi per il par che di tentativi di birdie.

Semplicemente un ferro 6 dal rough duro significa uno score più alto.

Dunque in quest’ottica a far preoccupare non è tanto la perdita di distanza dal tee (d’altronde la schiena di Tiger è stata praticamente reincollata vertebra per vertebra), quanto il mancato miglioramento dell’accuracy.

Quando Tiger sostiene che sarà pronto per la settimana del Masters e che si sta allenando avendo ben in mente la giacca verde, sa benissimo che in primis da qui al 6 aprile dovrà subire una metamorfosi kafkiana. Dovrà in buona sostanza diventare quello che non è mai stato: un giocatore di fino dal tee, più che un bombardiere. È lì l’ennesima nuova sfida che lo attende e lui lo sa benissimo. Come sa benissimo che se c’è uno che ce la può fare, quello è solo lui.

 

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