IL GOLF E’ FACILE; DIFFICILE E’ SPERARE

Dicono che negli ultimi due anni, nei soli Stati Uniti, oltre 600 mila golfisti arcistufi di flappe, ganci e putt sbordati, abbiano mollato sacca e bastoni. Dicono anche che, sempre negli States, sia cresciuto il numero degli swingatori che si sono definitivamente arresi alla propria incapacità, mentre sia sceso da 24,7 a 24,1 milioni quello di coloro che coraggiosamente tengono botta.

Un bel pasticcio.

Poi uno si stupisce che Nike golf chiuda e si limiti a fare scarpe e magliette, o che Adidas metta sul mercato prodotti storici come Taylor Made e Ashworth.

A buttare ulteriore benzina sul fuoco, ci ha pensato il CEO Adidas che, pur avendo sul mercato pezzi importante della collezione da piazzare al miglior offerente, se n’è andato in giro a dichiarare ai 4 venti che il golf nei prossimi anni non sarà più un asset di valore, dal momento che si tratta di uno sport troppo difficile e, che se il nostro sport vuole avere una chance di sopravvivere, deve darsi una bella spolverata di brillantante condito di rinnovamento.

Il golf è difficile: lo dicono anche quei 600 mila americani che hanno gettato alle ortiche sacca e palline.

Insomma, diciamocelo: hanno ragione loro.

Il golf E’ difficile.

Il maledetto senso del possesso dello swing che lascia solo macerie ci rende eterni principianti assoluti e in questa eterna rincorsa al colpo perfetto, finiamo per sostituire le nostre illusioni e i nostri sogni con le nostre malandate mitomanie.

Il golf, come Beckett, non fa altro che ripeterci “Fallisci, prova ancora, fallisci di nuovo, fallisci meglio”. E comunque, anche se di un lento miglioramento discutiamo, sempre di un fallimento si tratta. Da qualsiasi parte lo si guardi.

Tutti, dal primo all’ultimo, affrontiamo il rapporto con il golf come fosse una storia d’amore: tutti speriamo nel lieto fine. Tutti speriamo che il golf sia come l’amore vero, quello ricambiato, quello che alla fine ci rende infiniti, mentre, nella migliore delle ipotesi, il nostro rapporto col green può renderci solo abili.

Talvolta il golf ci umilia così tanto che sembra divertirsi a farci toccare il punto più basso della nostra carriera di esseri umani.

La verità è che il golf ci fa sentire precari, in ogni singolo colpo che affrontiamo. Epperò, in una fase storica in cui assistiamo alla progressiva sparizione di porti sicuri lavorativi, professionali, sentimentali, economici e sociali, il golf, con la sua precarietà tecnica, non fa altro che infliggerci ferite ulteriori e insopportabili per molti.

Insomma: se un tempo Freud dichiarava che l’amore era uno dei passi più vicini alla psicosi, è perché non aveva mai fatto un passo su un fairway.

Suvvia, diciamocelo che il golf è difficile, anzi, difficilissimo. Però è anche bello, anzi bellissimo, se bello o bellissimo non fossero parole così vuote e banali.

Perché il golf è stare sempre sul ciglio del precipizio, a una distanza infinitesimale dalla perfezione o dal disastro. Quell’infinitesimo di differenza che ti porterai in ogni colpo e che, se sarai fortunato, ti farà stare bene, magari solo per un giorno, magari anche per pochi minuti.

Perché il golf è un castello di sabbia che ti costruisci da solo con passione, giorno dopo giorno, ma che può essere spazzato via all’improvviso da un gesto poco meno che armonioso.

Perché il golf, nel suo impulso di afferrare l’inafferrabile, ti costringe ogni volta a farti di speranza. E in tutta onestà non è detto che le speranze non si tramutino mai in realtà. Piuttosto, è solo una questione di numeri: più desideri nutri, più alta è la possibilità di fare tombola.

Per dire: Jimbo Furyk sperava di battere il record sul Pga Tour di 59 colpi; c’è riuscito la scorsa estate quando ha marcato un fantasmagorico 58. Alla tele, subito dopo, il suo caddie ha dichiarato che quel giorno il golf gli era sembrato essere molto facile: Jim aveva preso tutte le piste, tutti i green e aveva imbucato tutti i putt imbucabili.

Facile.

E allora sapete che c’è? Che la verità vera è che il golf non è difficile. Semmai difficile è coltivare la speranza ed è lì, proprio lì e solo lì, in quel soffio che passa tra la paura di non riuscire e il desiderio di farcela, che ci vuole tutto il talento del mondo. Non nello swing.

(Ps Buon san Lorenzo a tutti…mi raccomando, stasera fate incetta di stelle cadenti, desideri e di speranze, golfistiche e non)

 

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