Jacopo Vecchi Fossa, quando hai il DNA dell’Ironman

Il golf ben giocato, si sa, è un’alleanza col nemico: è un gioco che per sua natura tende a ingabbiarti mentalmente. S’insegna da subito ai giocatori a ripetere ossessivamente tutte le cose che ci si aspetta che ripetano –palline in campo pratica, putt in putting green, routine in campo- e loro si attendono la felicità di un grande score. E invece… Invece, dietro le enormi attese, c’è spesso una profonda delusione, l’unica vera cosa che si ripete –questa sì- tantissime volte, forse troppe, dopo le 18 buche.

“Per questo – ci racconta il neo pro Jacopo Vecchi Fossa- cerco di non farmi irretire nella gabbia delle ripetizioni a ogni costo. Prendi la routine prima di ogni colpo: ti suggeriscono di farla sempre e di farla sempre allo stesso modo, ma io mica ce l’ho sempre uguale. Non voglio essere schiavo di punti fissi che poi, quella volta che non li rispetti alla perfezione, ti mandano in crisi”.

E allora come si comporta, mi scusi?

“Prendo spunti dagli sbagli del passato e imparo da quelli, così capisco come gestirmi nell’errore per migliorare”.

Ma sotto pressione, non rispettare una routine classica, non è un azzardo?

“Mah, per esempio, in quel caso so che devo fare una prova diversa dal solito, la ripeto due, tre volte e sono pronto per tirare”.

E che tipo di prova è?

“Facile: metto il piede destro indietro e stacco il bastone interno”.

E dove sarebbe la magia di questo swing?

“Allora: prima le dicevo che ho imparato negli anni da amateur a gestirmi negli errori. Quando mi sento in tensione, so che è perché il mio bastone all’apice finisce troppo laid off e punta a sinistra del bersaglio. Da lì ho una ripartenza esagerata, alla Garcia, per intenderci. E’ un’eredità di sette anni di tennis. Con una prova del genere, invece, riesco a creare una memoria muscolare opposta alla mia tendenza”.

Ma a volte affidarsi di più a ciò che è più naturale e meno a ciò cui ti obbligano a fare i maestri, non è preferibile?

“La mia opinione è diversa: devi lavorare sugli aspetti che sono già i tuoi punti forti, per renderli imbattibili. Solo così ti crei la giusta convinzione. Prenda Jim Furyk: il suo swing non è potente, ma invece di insistere per modificarlo, ha reso millimetrico il suo gioco da 100 metri in giù. O Dustin Johnson: ok, il polso sinistro è chiuso, ma gli dava la potenza necessaria a tirare quei drive a bomba, per cui ha lavorato per imparare a controllare col fade la sua forza. Il polso è ancora lì, nella stessa posizione, ma DJ non manca un fairway”.    

E quali sono allora i suoi punti di forza?

“Sembrerà strano vedendo il mio fisico, ma non sono un bombardiere pazzesco da tee, faccio 260 metri di volo col driver, però in compenso non sbaglio una pista e il putter va forte. In più quest’anno, dopo tre settimane trascorse a gennaio a giocare altrettanti tornei dell’IGT in Sudafrica, ho migliorato l’approccio: l’erba di quei campi è maledetta. E poi ci sono le chiacchierate con mio padre”.

In che senso?

“Beh, nella sua carriera sportiva, lui ha portato a termine ventidue Ironman (la specialità sportiva che comprende 3,86 km a nuoto, 180 km in bici e una maratona di corsa Ndr), per cui è un tipo che sa che significa fare sport. Sa cosa ci vuole per non mollare. Sa cosa vuol dire la forza mentale. Per cui mi affido a lui, non al mental coach”.

In Egitto, ha marcato due bogey nelle due buche finali e ha sfiorato la vittoria piazzandosi secondo. Cosa le ha detto suo padre?

“Che la prossima volta che sono in rimonta, invece di guardare gli altri, devo concentrarmi sul mio gioco. Mi restano tre buche da giocare? Bene: marco due birdie, agguanto il primo e poi lo supero col terzo birdie di fila. Facile”.

(Da Golf & Turismo, marzo 2017)

 

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