Lo facciamo tutti. Lo abbiamo fatto tutti. Tutti abbiamo tentato di indossare nella vita dei sorrisi credibili, anche quando non erano esattamente della nostra taglia.

Davanti ai dolori più profondi, quelli che ci accartocciavano come una bottiglietta di acqua Panna da buttare via, abbiamo tutti provato a ignorare il male. A spingerlo in basso. Il più in basso possibile. A nasconderlo come un bambino nasconde le mani sporche di cioccolata.

Tutti, in quelle occasioni, ci siamo detti che bisognava andare avanti. Perché è così che si fa: si va avanti. È così che ci hanno insegnato. Ma è difficile andare avanti quando qualcosa, dentro, ti tira per il cuore. Quando si scappa dal pensiero dei pensieri. Quando la mancanza di carezze è uguale a quella di ossigeno. E deve essersi sentito letteralmente in apnea Giasone Day, quando ieri, dopo essersi arreso dopo sole 6 buche di match play al WGC Dell Technologies, è entrato in sala stampa ed è scoppiato in un pianto a dirotto che ha lasciato tutti senza parole ma con un profondo senso di rispetto per l’uomo e il golfista.

“Mia madre ha un cancro al polmone – ha spiegato tra i singhiozzi- e si opera questo venerdì. Perciò non ha alcun senso che io sia qui. Anche se lei mi ha chiesto di continuare a fare quello che devo fare, ma se io faccio quello che faccio è solo grazie a lei. Per questo devo partire e raggiungerla in Australia”.

E niente. Le generalizzazioni hanno questo di bello: che spesso ci azzeccano. E una di queste generalizzazioni ci dice che per essere un campione non c’è bisogno di armi speciali, di scudi termici, di drive da 400 yards, di spade laser o di raggi fulmine. C’è solo bisogno di cuore. E in un mondo social nel quale essere cattivi, distruttivi e nel quale attaccare, minacciare e bullizzare gli altri pare essere divenuto il comportamento di default, ecco, in un mondo così, le lacrime sincere di un figlio sono dolci come un balsamo lenitivo su una ferita.