L’idea di futuro golfistico arriva dalle Marche

All’interno del micro-calo dei tesserati Fig (-936 unità a fine 2019), un dato numerico salta immediatamente all’occhio: golfisticamente parlando, le Marche sono in controtendenza rispetto al resto d’Italia, grazie a un vigoroso aumento dell’8% dei propri giocatori.

Nella Regione, infatti, su 2.538 totali, sono 200 esatti i nuovi tesserati 2019: per lo più, i neo swingatori arrivano da due realtà a basso costo ma estremamente inclusive come il Golf Torrenova e l’Olinuan.

Per dire: aperto nell’estate del 2018, il Torrenova, uno dei pochissimi esempi di Bio Golf in Italia, ha 9 buche omologate spalmate su 35 ettari oltre a un driving range, e in un solo anno e mezzo è riuscito da ad affiliare ben 120 soci.

Luigi Scarfiotti

“L’idea di questo circolo –racconta Luigi Scarfiotti, presidente e proprietario del golf marchigiano- nasce dalla consapevolezza che alla fine della Ryder Cup romana, dopo un’importante esposizione mediatica, il golf azzurro attrarrà sicuramente dei neofiti. E fin qui tutto bene. Il problema sorge successivamente, nel momento in cui l’offerta dei golf italiani potrebbe non essere comprensiva di tutta la domanda che si sarà creata. Tradotto in parole semplici: dove andranno a giocare tutti quei nuovi appassionati che eventualmente cercheranno realtà golfistiche a basso costo? Da qui, il Torrenova”.

Golf Torrenova

Quindi mi sta dicendo che il futuro del golf italiano passa da campi basici, magari a 3/6 buche?

“Certamente. Ma non solo, prima passa da un cambio di filosofia: bisogna imparare a fare un business puramente golfistico e non più legato ai soliti investimenti immobiliari che sono un modello del tutto superato. Ma, ovviamente, in questo scenario c’è un ma…”

E sarebbe?

“Che per fare questo tipo di business che io chiamo puramente golfistico, servono imprenditori che investano in questi progetti a basso costo. E che poi si impegnino a gestire questi circoli come aziende vere e proprie. Il modello assembleare che fin qui ha retto i nostri club temo sia destinato a sparire nel tempo, perché caratterizzato da un immobilismo decisionale derivante dall’impossibilità di mettere d’accordo tutti i soci in tempi rapidi. Oggi come oggi, se i club sopravvivono sono più che bravi, ma, se per caso provano a migliorare i propri conti, spesso e volentieri sono costretti ad andare contro la volontà dei soci. E dunque restano fermi”.

Che significa?

“Le faccio un esempio: per aumentare i greenfees, un circolo potrebbe rivolgersi a un tour operator per allocare con facilità un importante numero di tee time. Ora: il suddetto tour operator chiederebbe ovviamente di prenotare determinati orari e giorni, per portare, che so, 50 golfisti esteri a giocare su quel percorso. Bene: si immagina la reazione dei soci? Sarebbe certamente negativa. E dunque il club rimarrebbe immobile, per lo più cercando di vivacchiare tagliando qua e là. Ovviamente è del tutto diverso il discorso nel caso di un club con un proprietario che prende una decisione con un occhio di riguardo innanzi tutto ai conti e ai bilanci”.

In questo scenario, con la Ryder 2022 alle porte, quale potrebbe essere secondo lei il ruolo della Fig?

“A differenza di quanto si pensa generalmente, la Federazione è puramente un organismo burocratico. Ciò che però oggi dovrebbe fare è lobbying sulla politica”.

Su che tema?

“Dovrebbe prendere esempio da ciò che abbiamo fatto nelle Marche e riprodurlo a livello nazionale. Mi spiego: grazie a un assessore allo sport illuminato, nella nostra regione abbiamo un protocollo per cui la destinazione agricola è compatibile col golf. Significa che, se su quel terreno agricolo specifico non alzi case, ma eventualmente solo costruzioni tecniche, puoi partire immediatamente con i lavori per il golf, in anticipo di ben 5/6 anni rispetto ai tempi canonici. Ecco, a mio avviso questo la Fig dovrebbe fare: chiedere a viva voce di accorciare le procedure tecniche e politiche per aprire un golf club”.

In fondo, potrebbe aver ragione Luigi Scarfiotti, soprattutto se si sposta lo sguardo al di là delle Alpi, a Paesi come Francia, Olanda, o Germania, che hanno un numero di praticanti nettamente superiore al nostro, e ce l’hanno proprio grazie alla presenza di strutture di base (vi ricordate i 100 campi pratica della Francia pre Ryder? Beh, sono oggi 220 NdR) che permettono anche a fasce di popolazione meno abbienti di provare l’ebbrezza dello swing. Nello specifico, va sottolineato che si tratta di neo golfisti che prima o poi, di riffa o di raffa, vanno certamente ad arricchire i club tradizionali e tutto il mercato che ruota intorno al green. Che ne dite?

Comments

4 Comments
  1. posted by
    gio
    Feb 11, 2020 Reply

    Lucido e puntuale!
    Bravo!

  2. posted by
    Marc
    Feb 11, 2020 Reply

    Però come dicevate su Golf tv e io concordo i costi base per macchinari clubhouse etc vanno ripartiti sugli incassi di un 6 o 9 buche – ce la fanno ?

  3. posted by
    Carlo Albera
    Feb 11, 2020 Reply

    Ho diretto per tanti anni un Circolo a 9 buche, basato su questi concetti (oggi ha più di 500 Soci).

    Ora accompagno nella crescita un campetto di montagna passato lo scorso anno da 26 a 53 tesserati.

    Il golf è uno sport, che più di altri, può essere economico, le cui regole sono un valore aggiunto (onestà e correttezza; presentate nel modo giusto sono anche interessanti e divertenti), relativamente facile da giocare a livello quasi istintivo, ma che consente ampi spazi di crescita tecnica/agonistica e di conseguenti soddisfazioni. E lo si può iniziare a tutte le età.

  4. posted by
    Marcello
    Feb 11, 2020 Reply

    Condivido. È l’idea di golf che penso da sempre, se non lo rendiamo più accessibile il numero dei praticanti non crescerà mai. Io ho la fortuna di vivere in un’area geografica con molta offerta golfistica (10 campi), di cui la metà 9 e 6 buche a basso costo e senza queste probabilmente non avrei mai iniziato

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