Luke Donald, cercasi drive disperatamente

Il golf deve essere come uno specchio che ci guarda con i nostri occhi insicuri, se anche uno come Luke Donald, numero 1 al mondo nel 2011, ha deciso di cambiare quel suo swing che era vellutato come uno strato di stracchino fuso su una fetta di pane tostato.

Voleva più distanza dal tee, il buon Luke, e si è ritrovato invece con meno fairway, meno green, meno birdie e meno vittorie. Anzi, a dirla tutta, con zero vittorie da almeno cinque anni.

Lo incontro a Crans Montana, in occasione dell’Omega European Masters: è invecchiato, con un filo di grigio che affiora nei capelli, ma è ricco di un’educazione di altri tempi. Mentre parla ha la stessa delicatezza che sfoggia quando approccia: se ogni suo wedge è una compendio di gioco corto, ogni sua parola è il riassunto di un campione, ormai vicino ai 40, ancora fortemente alla caccia del suo gioco migliore.

Nel suo account twitter scrive che è sempre alla ricerca di nuovi modi per continuare a migliorare: oggi quali sono?

“In questo momento sto lavorando sulla tecnica, soprattutto su quella che riguarda il drive, perché sul putt e sul gioco corto in generale le statistiche dicono che lì vado ancora parecchio forte. Con il drive purtroppo non colpisco abbastanza fairway e, a causa della mia lunghezza non eccessiva dal tee, ho bisogno di più precisione. Per cui, sì, il driving è l’area che in questo momento deve migliorare parecchio”.

Sempre su Twitter, un paio di giorni fa ha scritto che sente che stanno per arrivare buone cose…

“Partendo dal presupposto che la mia vita è già fantastica così com’è –ho una moglie favolosa, tre figlie splendide e una carriera di grandi successi- devo però dire che golfisticamente gli ultimi due anni sono stati davvero duri e mi hanno veramente deluso. Ho lavorato duramente e sto continuando a farlo, ma questa volta, finalmente, sento che i cambiamenti che ho fatto e ai quali mi sono così dedicato, stanno per arrivare a puntino. A questo punto si tratta solo di riguadagnare un pizzico di fiducia, di credere che il mio buon golf è davvero dietro l’angolo e che non c’è nessuna ragione per cui io non possa tornare a competere ad altissimi livelli, così come ho fatto per parecchi anni”.

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All’università si è laureato in arte, per cui mi domandavo se lei ha un approccio al golf più, per così dire, artistico, o più analitico…

“Sono sincero: in passato ho provato entrambi questi approcci. Qualche anno fa, però, ero diventato troppo analitico ed è stato un problema, perché poi quando si è in campo, non si tratta di avere a che fare coi numeri, ma piuttosto di credere nei propri colpi, di vederli, di visualizzarli, di lasciar prendere il sopravvento all’istinto. Questo però è quello che ti accade quando non stai swingando bene: non ti senti a posto e allora cerchi di affrontare il campo con la tecnica, più che con la fiducia. Ed era proprio così che mi sentivo. Adesso sono ottimista: sto tornando a dipingere i colpi, se mi permette il termine”.

Si dice che dura solo ciò che è reciproco. Crede di avere una relazione di reciprocità con il golf oggi come oggi?

“Mah, direi che ultimamente il golf sta decisamente avendo la meglio su di me. È un gioco davvero tosto. Ma ho avuto pure io i miei momenti di rivalsa su di lui, e credo proprio che stiano per tornare”.

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C’è una canzone di Michael Jackson, “Man in the Mirror”, se la ricorda?

“Certo che sì: è stupenda!”

Nella canzone, Jackson si rivolgeva a stesso incoraggiandosi a cambiare qualcosa per essere migliore. Ecco: cosa cambierebbe oggi di se stesso?

“Uhm…Personalmente resto convinto che è sempre preferibile lavorare con quello che si ha… però, diamine, se potessi davvero cambiare qualcosa, vorrei solo tirare la palla più lunga. Sarebbe davvero un vantaggio pazzesco”.

A proposito: due settimane fa Dustin Johnson ha ucciso al play off Spieth con un drive spaventoso di 340 yards sopra l’acqua. Ne sono seguite delle polemiche sulla scelta della buca per lo spareggio: che ne pensa?

“Penso che certamente era una buca disegnata esattamente per quel tipo di giocatore che poteva eseguire quel determinato colpo e non c’è che dire, lui l’ha fatto molto, molto bene. Oggi come oggi certe buche danno un vantaggio incredibile a chi tira molto forte dal tee: bisogna prenderne atto”.

Compirà 40 anni a dicembre: come si sente a riguardo?

“Beh, innanzi tutto sono più vecchio di 10 anni. No, vabbè, scherzo! Più seriamente, non me ne sto preoccupando più di tanto. Piuttosto sono felice del fatto che ho ancora parecchio buon golf davanti a me. Vedi, anche se il gioco sta cambiando e sta diventando sempre più una questione di giovani che tirano sempre più lungo, e anche se so che questo è e sarà il golf del futuro, beh, questa è una sfida che mi sento di voler affrontare”.

Quanto è duro stare sul tour alla sua età, dopo tante stagioni passate a lottare, quando ogni anno arriva qualcuno di nuovo, di giovane e sempre più affamato di vittorie?

“Vuole la verità? Non mi sono mai preoccupato degli altri, piuttosto ho sempre dato il massimo per cercare di fare del mio meglio, senza mai mollare. In questo mestiere, perseverare è la parola chiave. Devi capire che non puoi controllare quello che fanno gli altri, ma che puoi controllare quello che fai tu. Che devi giocare contro te stesso e contro il campo, non contro gli altri giocatori. Perciò non mi preoccupo di quello che fanno o hanno gli altri: mi concentro su me stesso, cercando di migliorare ogni giorno, ogni settimana. Credo che questo sia l’unico modo di approcciare questo gioco: ho sempre fatto così, anche da giovane, e continuerò a fare così”.

Un’ultima domanda: giocherà l’Italian Open a ottobre?

“Sicuramente. Sarò in campo al Dunhill Links in Scozia e poi, la settimana dopo, al Golf Milano. Dopo di che, in base ai risultati, vedrò come proseguire il mio finale di stagione”.

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