The Masters, il fattore omeostatico

Forse non ve ne siete accorti, ma siamo entrati a gamba tesa nella settimana del Masters, quel torneo che se si ha Belèn sotto casa che citofona per una serata a due, fa dire alla stragrande maggioranza della popolazione golfistica mondiale: “Fanculo l’argentina, passami il telecomando che c’ho la diretta da Augusta”.

Ecco cos’è il Masters.

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Per cui mi pare inutile raccontarvi che sono giorni che sul web m’imbatto in articoli che in tutte le lingue del mondo sono scientificamente alla caccia del favorito del torneo.

Vi si studiano statistiche, dati, numeri, record, algoritmi, percentuali, applications, bioritmi e persino oroscopi.

Il tutto per arrivare alla più classica delle conclusioni: se vuoi vincere ad Augusta devi, nell’ordine:

1) sparacchiare il drive oltre le 300 yard;

2) essere dotato di un volo di palla alto;

3) avere la precisione di un chirurgo coi colpi al green dove le zone di atterraggio sono spaziose come francobolli;

4) pattare come Gesù Bambino;

5) essere un demonio sui green in bent-grass;

6) nel gioco corto, avere le mani dolci come un tiramisù.

Ora: leggi queste conclusioni e, a parte il “ma va?!” che ti sgorga dal cuore immediato e naturale, sai subito che secondo questi numeri il cerchio dei favoriti si ristringe ai soliti 3 o 4 super campioni. E che tra tutti questi, quest’anno Justin Thomas parrebbe essere l’uomo più giusto tra i giusti.

Eppure… In testa dopo il primo giro con 66 colpi c’è Jordan Spieth, uno che nel 2018, sul green, pareva aver perso il senso dell’orientamento tanto poco aveva imbucato: com’è possibile?

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E’ che anche se i numeri non tradiscono mai, sai bene che se Augusta fosse un discorso matematico, sarebbe un’equazione di sole incognite. Perché non c’è nessun campo al mondo che ti faccia sentire precario come quello. Nessun campo capace di farti sentire tranquillo come un fuggitivo al riparo in un castello di sabbia in un giorno di pioggia come quello. Nessun campo che ti faccia sentire nudo e folle a mano a mano che l’impazzimento della pressione arteriosa cresce velenoso nel cuore. Perché se volessimo usare un’espressione baumaniana, nessun campo al mondo riflette in maniera così speculare la liquidità della società moderna, dove per liquidità s’intende l’impossibilità di consolidare in modi di agire standardizzati quelle abitudini e procedure che hanno funzionato in passato. Dove s’intende il non poter fare affidamento su nessuna esperienza precedente, perché le circostanze qui cambiano troppo in fretta e in modi sempre totalmente imprevisti. Dove s’intende un campo stabilmente instabile, definitivamente indefinito e autenticamente bugiardo che sa benissimo come alimentare l’insoddisfazione dell’Io dei giocatori in gara.

Per cui, no, per la giacca verde di domenica i numeri non sono tutto. Sono solo una piccola parte. Il resto è semplice omeostasi: la capacità del campione di mantenersi costante all’interno nonostante le mille variabili esterne a cui è sottoposto. Che poi è la ricetta eterna del golf. Ed è per questo che il Masters è pura magia senza tempo.

Per cui, sapete che vi dico? No grazie: voi scienziati tenetevi la prevedibilità dei  vostri numeri che sono solo semplificazioni  e le semplificazioni -si sa- spesso sono solo gabbie strette, che io mi tengo l’imprevedibilità del “fattore umano-omeostatico”.

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