MOE NORMAN: L’UOMO CHE HA CATTURATO LO SWING

Nel 1956, dopo aver vinto a 26 anni il Canadian Amateur Championship, Moe Norman arrivò sul tee della buca uno dell’Augusta National in occasione del suo primo invito al Masters.

Lo speaker ufficiale del torneo iniziò a presentare al microfono il giovane talentuoso campione canadese, ma “Prima che potessero pronunciare il mio nome –raccontava Moe- io, bang, l’ho sparata in mezzo al fairway, in mezzo al fairway”.
Ecco: in queste poche parole è racchiuso tutto lo spirito di Moe Norman, l’uomo che secondo Tiger Woods era padrone assoluto del proprio swing. O, come preferiva sostenere lui stesso, l’uomo che aveva catturato lo swing. Già. Perché se l’arte del golf sta tutta nel controllare il volo della palla, allora Moe Norman è stato in assoluto il più grande artista del golf.
Famoso per colpire le proprie zolle del giorno precedente in mezzo al fairway, Murray “Moe” Norman è passato alla storia per essere l’unico giocatore a poter vantare un’incredibile quanto assoluta mancanza di side spin nei propri colpi. Che quindi volavano totalmente dritti come fusi, senza un metro di draw o di fade. E se per Ben Hogan, un altro monumento dello swing, i colpi perfettamente dritti erano solo delle casualità, quando però incontrava il canadese, il texano doveva ricredersi: “Continua a colpire queste casualità, Moe” gli ripeteva allora affettuoso con una pacca sulla spalla.
Ma la vita di Moe Norman non è stata solo una meravigliosa storia di successo golfistico oltre ogni difficoltà, ma purtroppo anche una storia triste di come la nostra società abbia sempre avuto e continui tutt’oggi ad avere difficoltà nell’accettare comportamenti fuori dal comune. Comportamenti che nel caso di Moe derivavano da una patologia neurologica ancora sconosciuta negli anni ’50 che porta il nome di sindrome di Asperger: imparentata con l’autismo, provoca una compromissione delle alterazioni sociali, con schemi di comportamento ripetitivi e stereotipati, oltre che a interessi molto ristretti. In passato si dice ne abbiano sofferto anche Albert Einstein, Glenn Gould, Isaac Newton e Wolfgang Amadeus Mozart.
Nel caso di Norman, si manifestava oltre che nel suo linguaggio ripetitivo e veloce, anche e soprattutto nella sua incapacità di interagire con le altre persone, in una cronica timidezza e in continuo senso di inadeguatezza. Non è dunque un caso se dopo aver vinto il primo titolo del Canadian Amateur Championship, terrorizzato dalla necessità di dover pronunciare il discorso di ringraziamento, Moe si fosse rifugiato per ore nell’alveo di un torrente che scorreva lì vicino. O se, nonostante in carriera avesse vinto da pro ben cinquantacinque tornei, ancora oggi si dica che molti altri ne abbia persi apposta per non dover ritirare il trofeo davanti al pubblico. Proprio a causa di questa timidezza paralizzante, giocava veloce, anzi, così velocemente che gli organizzatori dei tornei, nel tentativo di sincronizzarlo al ritmo degli altri, lo avevano obbligato a camminare a zig zag lungo i fairway. Giocava veloce, Moe, così velocemente che iniziava a camminare mentre la palla era ancora in volo, perché non sopportava su di sé gli occhi del pubblico, non sopportava i tifosi che non applaudivano ma ridevano quando osservavano quel tipo strano, con le scarpe storte, i pantaloni sgualciti e mai coordinati con le magliette, che però tirava delle saette che tranciavano in due i fairway di mezzo mondo. Giocava veloce, Moe, perché gli bastava uno sguardo rapido al bersaglio per interiorizzarlo e per diventare lui stesso lo swing di cui aveva bisogno. Era come se le sue mani fossero connesse al bastone, alla pallina e alla bandiera: in campo, l’unico posto al mondo dove Moe era a suo agio, nel suo rifugio segreto, lui era un tutt’uno.
“Posso controllare il mio destino da tee a green- diceva di se stesso- allora perché dovrei essere triste? Possiedo una cosa che tutti al mondo desiderano e io mi sento felice, mi sento felice”.
Non si era sentito felice invece negli Stati Uniti, durante gli anni trascorsi sul PGA Tour. Troppo difficile il rapporto col pubblico e con gli altri giocatori, che reagivano male alle sue indiscutibili stranezze. Si dice che fu un commento odioso di un collega sui denti storti di Moe il motivo per cui Norman decise di non giocare mai più in terra americana.
Era il 1959: “Mi dicevano che quello era il Tour più importante del mondo –raccontò in seguito il canadese- ma non erano interessati a quanto bravo fossi, ma solo al fatto che dovevo essere come gli altri. Invece io volevo essere come ero, perché nessuno sarebbe mai stato come Moe”.
Tornò dunque a casa sua, in Canada, dove giocò il Tour del suo paese per oltre trentacinque anni. E ogni anno, fino al 2003, in occasione del Canadian Open, il campo pratica del torneo si fermava per osservare i colpi perfettamente dritti dell’uomo che aveva conquistato lo swing.
(da Golf e Turismo dicembre 2012)

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