Nicklaus: è un problema di palle

In teoria, il golf sta vivendo un momento di favolosità: i campioni che lo rappresentano in giro per il mondo sono giovani, carini e occupati e la presenza alle Olimpiadi, con sei medaglie vinte da sei atleti di sei differenti nazioni, si è rivelata potente come un turbo Ferrari, se è vero come è vero che recentemente ben 35 federazioni si sono aggiunte a quelle già esistenti.

Tutto ciò si traduce in un significativo passo in avanti per il golf non solo in quei paesi dove questo sport è ancora poco praticato o essenzialmente sconosciuto, ma anche in quelle nazioni emergenti che mai come oggi rappresentano vere e proprie terre promesse di sviluppo, opportunità e ricchezza economica. E ancora: mai come in questi giorni si è verticalizzato l’interesse dei media internazionali nei confronti dei tornei professionistici.

Eppure…

Eppure nei soli Stati Uniti – esempio cardine quando si discute di salute golfistica – negli ultimi dieci anni sono stati più i campi che hanno chiuso le serrande di quelli che le hanno aperte.

Morale: il golf viaggia a due velocità. Una lungo la strada tutta in discesa dei tour mondiali; l’altra, tutta in salita, lungo la strada del gioco amatoriale.

Secondo Jack Nicklaus, intervenuto all’HSBC Golf Business Forum che si sta svolgendo in queste ore in Florida, buona parte della crisi dei numeri che il golf ricreativo sta affrontando negli ultimi anni sta nelle…. Palle.

Ora: si sa, quando l’Orso d’Oro parla, lo si sta a sentire attentamente, esattamente come quando dalla sperduta Omaha vaticina Warren Buffett.

“In un mondo che affronta quotidianamente problemi legati alla mancanza di acqua e di terra –ha spiegato Jack- immaginare, disegnare e costruire percorsi a 18 buche che si adattino perfettamente alle lunghezze che le nuove palline riescono a coprire, è follia”.

E già: tirare colpi più lunghi significa, in termini di progettazione e manutenzione, maggiori costi per chi gestisce il percorso e maggior perdita di tempo per chi vi gioca.

“Credo –ha continuato Jack- che si debbano disegnare delle palle che si adattino ai campi e non disegnare campi che si adattino alle palle”.

Tradotto: si dovrebbero utilizzare palle che viaggino al 100%, o al 75% o ancora al 50% del proprio potenziale, a seconda del percorso che si va a giocare.

Ora. Personalmente sono d’accordo. Ma per esperienza so anche che ci piace esprimere idee logiche e intelligenti, salvo poi non provare alcun piacere nel metterle in pratica. Dai, su: tutti intuiamo al volo la cosa sensata da fare, ma poi mai che la facciamo.

Voglio dire: per tornare a bomba sul tema in questione, in questi tempi malmestosi e vigliacchi, le uniche palle che siamo abituati a tirar fuori sono quelle da golf sul tee della 1. Per il resto: palle d’acciaio, non pervenute.

Ecco, figuriamoci adesso che delusione se pure quelle sul tee dovessero essere mosce come un Mocho Vileda o piccole come una pallina da Subbuteo… Sarebbe come se il green diventasse lo specchio dei tempi e in tutta sincerità, no, grazie: che almeno il golf ci lasci sognare.

Leave A Comment

Your email address will not be published. Required fields are marked *