Nicolò Ravano, il golfista azzurro che sa fare 59

Tre score in 59 colpi nelle ultime due settimane al di là dell’Atlantico tra il Pga e il Champions Tour e, niente: la domanda è d’obbligo: il 59 è diventato il tubino nero del golf, uno score buono per ogni occasione? Voglio dire: nel 2017 il 59 è destinato a diventare quello che un tempo era il 62?
Parrebbe proprio di sì, vista la frequenza con cui lo abbiamo registrato nelle ultime giornate: certamente alla base esiste una motivazione tecnica (migliore attrezzatura, migliore preparazione atletica e migliori condizioni dei percorsi di gara) che porta i campi ad essere più aggredibili di un tempo. Se infatti il carry totale della somma driver+ferro 7 alla fine degli anni ’70 era di 360 metri, oggi quella stessa somma fa 414.

Eppure tutto questo pare non basti a spiegare il fiorire degli score in doppia cifra con il 5 davanti (non scordiamoci il 58 di Furyk la scorsa estate): secondo Nicolò Ravano, l’unico azzurro nella storia ad aver firmato un 59 in un torneo ufficiale (nel secondo giro del Fred Olsen Challenge de Espana a luglio 2016), c’è di più: “c’è un lato psicologico che non si può ignorare. Quando un giocatore vede che gli altri riescono a fare qualcosa di difficilissimo, allora nella sua testa scatta un meccanismo che lo porta a credere che niente è impossibile. Per dire: il giorno prima del mio 59, nello stesso torneo, uno aveva segnato 60 e dunque mi ero convinto che il campo permetteva di scendere sotto al par. Insomma, parte una sorta di effetto di emulazione che va a ondate: se uno lo fa, gli altri si convincono che si può fare”.

Ma allora: è possibile scendere ancora più in basso?

Secondo Annika Sorenstam, una che il 59 lo ha marcato una decina di anni fa in un torneo dell’LPGA Tur, sì: “Come si fa? Semplice: prendi un fairway. Prendi un green. Fai un solo putt. Poi ripeti tutto questo per 18 volte di fila e avrai ottenuto il golf perfetto. So che il 54 è difficile, ma è sempre stato una visione ben presente nella mia testa”.

Per Ben Hogan, se in un giro un giocatore poteva segnare 10 birdie, non c’era nessunissima ragione al mondo per cui non ne potesse segnare 18 di fila.

“Il 54? – continua Ravano- Mah, statisticamente è quasi impossibile, ma certamente non è detto che non ci si possa riuscire. Diciamo che è possibile ma assai poco probabile. Per esempio: ho segnato il mio 59 su un par 71 senza marcare i birdie in 3 buche assai semplici, per cui, sì, c’era spazio per scendere ancora di più sotto al par, ma comunque mi sarebbero mancati ancora altri 3 birdie per finire 18 sotto”.

Ma, intanto, per restare coi piedi per terra, come si fa a segnare un 59? Secondo Nicolò, “Ovviamente non puoi pianificarlo, ti ci puoi solo trovare. Inizi a giocare e a pattare bene, e magari il campo ti piace e non ti mette troppa pressione. Poi accade una magia: entri in una specie di corrente, in un flow che ti trascina e che ti fa sembrare tutto facile. Ecco: in quel momento devi assecondare la corrente, fidarti e lasciarti andare”.

E che cosa ti ha lasciato in testa quell’esperienza? “Ho imparato che basta un nulla, sono sufficienti due colpi tirati nel modo giusto e la carriera può cambiare drasticamente. Ho capito insomma che puoi essere sempre vicino alla soluzione senza saperlo. Il problema vero, semmai, è farlo durare quello stato di grazia”.

E la pensa così anche Jimbo Furyk, uno che il 59 lo ha marcato e che poi, per non farsi mancare niente, anni dopo si è portato a casa anche un bel 58 tondo, tondo: “Non importa quante brutte sensazioni hai in quel momento con il tuo swing –spiega il neo capitano di Ryder- perché non sei mai così lontano dal tuo swing migliore; né importa quanto buoni siano invece i tuoi feeling, perché allo stesso tempo non sei mai troppo lontano dal giocare come uno schifo” .

Insomma: alla fine pare che il golf sia una questione di equilibrio, di corrente, di fiducia, di emulazione e, diciamocelo, anche di quel pizzico di culo che non guasta mai.

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