Occhio al golf di Jon Rambo Rahm

Dicono sia un predestinato, il 22enne Jon Rambo Rahm.

Lo spagnolo meno spagnolo del circuito ha appena vinto a Torrey Pines il suo primo torneo del Pga Tour, il Farmers Insurance Open. E lo ha fatto con una doppietta birdie-eagle finale, dopo sole 11 apparizioni da professionista sul suolo americano, avendo conquistato la carta a suon di top ten nel 2016 in meno di due mesi. Così: 7 inviti in tornei open tra fine giugno e fine agosto e la pratica della Qualifying School era già un problema in più da archiviare. Roba che persino il fenomeno Bryson DeChambeau è dovuto passare attraverso le forche caudine della finale del Web.com Tour per assicurarsi un posto tra i grandi nel 2017.

Non Jon Rambo Rahm, un metro e novanta di stazza da peso massimo e un fisico sgraziato e possente che ricorda quello del Jack Nicklaus di Oakmont dei primi anni ’60.

A dire il vero, lo spagnolo poco spagnolo pare l’Orso d’Oro anche quando addressa la palla, con quel grip della mano sinistra debole a contrastare la forza bruta delle braccia da boscaiolo, e con quello stacco del bastone upright che fa tanto Jack prima maniera.

Per il resto c’è una goccia di Jim Furyk, quando nel set up posiziona le manone vicinissime al corpo, a evitare che il bastone si muova troppo lungo una linea interna, che per un Superman come lui sarebbe come incocciare un granello di criptonite.

Dicevamo che i guardoni del green lo considerano da anni un predestinato: d’altronde uno che per 50 settimane è stato numero 1 dell’amateur world ranking, come volete descriverlo se non come un nuovo atteso Messia? Uno che dichiara di voler entrare a far parte della storia del golf e che sostiene di avere la giusta dose di ambizione e determinazione per farcela, e che per dimostrarvelo cala un putt per l’eagle alla 18 lungo come treno per vincere il suo primo torneo Pga, ecco, uno così come lo si chiama?

Facile: un predestinato.

In tutta onestà a me non piace il termine: ha qualcosa in sé che suona come una semplificazione arraffazzonata.

Prendi un giocatore forte, fortissimo, giovane, carismatico e vincente e lo etichetti come “predestinato”. Banale, trovo, suvvia. Perché in fondo, tutti siamo potenzialmente dei “predestinati”: tutti abbiamo un nostro personalissimo talento nascosto nel nostro animo. Solo che nella maggior parte dei casi lo seppelliamo sotto strati e strati di polvere, noncuranza e pigrizia. E ce ne dimentichiamo. Passiamo oltre. Andiamo avanti, facendo un passo indietro. E facendolo, chiediamo le dimissioni da noi stessi, perché per assecondare il nostro talento, prima ci toccherebbe dare spazio ai nostri buoni propositi. E si sa: è è un fardello pesante da portarsi appresso, quello delle buone intenzioni. E’ faticoso. Sissignore.

Ecco, allora, che quello che a una prima vista superficiale ci appare come un predestinato, altro non è che uno che semplicemente ha voluto fare ciò che voleva fare, senza paura di farlo, senza timore di sbagliare. Un predestinato è chi nella sua vita ha fatto una cosa demoniaca, faticosissima e contro natura: è uno che ha provato a migliorarsi, senza mai chiedere il part time dal proprio sogno.

Ecco chi è Jon Rambo Rahm: segnatevi questo nome per il Masters.

 

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