Il lavoro batte il talento, se il talento non lavora duro

I grip dei golfisti sono come un taglio di capelli: quelli brutti si notano molto di più. E dunque, se siete in cerca di spunti tecnici da approfondire in vista del debutto del 74simo Italian Open in quel di Monza, ve ne consiglio uno su tutti: buttate un occhio attento proprio alle impugnature davvero poco convenzionali dei britannici Tommy Fleetwood e Matthew Fitzpatrick.

Il primo è il timido capellone comodamente in testa alla Race to Dubai; il secondo è il segaligno che ha da poco trionfato sui green di Crans nell’Omega European Masters.

Rimarrete stupiti: garantito.

Vi accorgerete infatti di come la posizione della mano sinistra di entrambi, ma soprattutto di Matthew, sia a dir poco da dilettante neurolabile allo sbaraglio: fortissima, con tante nocche ben in evidenza all’address, davanti alla palla.

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Matthew Fitzpatrick

Ora: questa dei grip poco corretti dei giovani campioni 3.0 pare essere ormai una tematica ricorrente come una litania nei campi pratica di ogni circuito professionistico. Basti pensare all’impugnatura stramba di Giordanello Spiethato Spieth, con quella mano sinistra debolissima, o a quella di Dustino DJ Johnson, dove la mano destra è molto “corta” lungo lo shaft rispetto alla sinistra.

Contro ogni storica raccomandazione del manuale del “Buon Golfista”, la nuova generazione dei campioni del tour osa swingare con dei grip che solo fino a qualche anno parevano eresie, ma, mai come oggi, a questi livelli, certe sicurezze consolidate nei secoli paiono stantie come l’odore della naftalina. Se infatti fino a ora il passato è stato lì, immobile nella memoria, a farsi venerare contando sul fatto di farsi sempre credere migliore di quello che è stato, oggi queste “young guns” del green mondiale se ne fregano delle regole stilistiche, perché sono le regole stesse che si cuciono addosso a loro.

“La grande rivoluzione – spiega il pro Mario Tadini – non è avvenuta tanto negli swing, quanto nei materiali a disposizione  di questi giovani campioni.  Gli shaft di ultima generazione, favorendo tantissimo il volo della palla, hanno permesso ai giocatori moderni movimenti più in rotazione verso il bersaglio, con un maggior uso dei grandi muscoli e un minor utilizzo invece di quelli piccoli, come per esempio quelli delle mani. Per questo oggi il grip, che un tempo doveva essere stilisticamente perfetto per permettere al golfista di alzare la palla in volo dritta verso il target, è diventato decisamente meno preponderante ai fini di una corretta esecuzione del colpo”.

Attenzione, però: qui stiamo discettando di fenomeni atletici, ancor prima che golfistici. Pensate solo alla rapidità supersonica dei fianchi in rotazione in avanti di Fitzpatrick o Fleetwood, o alla flessibilità da NBA di Dustino Johnson, o, ancora, al ritmo impeccabile di Giordanello.

Voglio dire, nel mondo degli umani le cose vanno diversamente: “Quando si dà lezione a un dilettante – sottolinea la proette Isabella Maconi- ciò che sosteneva cinquant’anni fa il grande Ben Hogan è ancora assolutamente attuale: un grip corretto e una posizione da manuale davanti alla palla restano fondamentali. Senza di quelli è difficile che un amateur di circolo possa aspirare a migliorare e a migliorarsi”.

E, permettetemi, c’è un’altra cosa, oltre alla saggezza di Ben Hogan, che resta comunque una verità insuperabile ancora oggi, nonostante si viva in tempi di bastoni, shaft e palline termonucleari: il lavoro batte sempre il talento, se il talento non lavora duro.

 

 

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