Open Championship: fare il tifo per….

  • Tommy Fleetwood. Perché è un underdog. Perché è uno che, mentre lo intervistavo a Troon nel 2016, guardava spiritato Philippone Mickelson assediato da mille giornalisti pochi metri più in là e mi sospirava: “quello è un fenomeno”. Perché a volte sono proprio i successi di chi ha il buon gusto di sembrare non crederci troppo che fanno credere a te che sì, che forse anche i regni della Terra possono essere tuoi, se ci credi a sufficienza.
  • Lee Westwood. Perché come lui, noi esseri umani vintage siamo macerati dalla convinzione che tutto ciò che è inseguito, alla fine scappa. Che si tratti di un amore, di un successo, di una promozione, di un sogno, poco importa: quando arriviamo a un centimetro dal traguardo, inciampiamo nelle nostre ansie. Ma a volte sta solo a noi a fare quel passetto con calma e lucidità senza incrociare i malleoli: non si tratta di sopravvivenza, ma di evoluzione.
  • Andy Sullivan. Perché è uno che ha capito che alla fine non sono le vittorie, i successi, le sconfitte o il denaro a definirti, ma piuttosto è quello che fai fuori dal campo. Ma ciononostante, lui continua a provare a vincere. Week by week.
  • Patrizione Reed. Perché sarebbe l’esempio perfetto di come un’infanzia infelice bisogna tenersela stretta: lì dentro c’è tutto il materiale che ti serve per il romanzo che ti aspetta.
  • The Beef. Perché uno co’ ‘na panza tanta, uno che in cucina non sta a rigirare la minestra ma ‘sta minestra se la magna pure con l’aggiunta di du’ pagnotte e tre etti di parmigiano, ecco, uno così sarebbe l’inno alla gioiah di noi forzati della dieta.
  • Padraig Harrington. Perché è uno di noi: un telefono scarico che desidera soltanto trovare un caricatore.
  • Ian Neuro Poulter. Perché ho la sensazione che lui segua pedissequamente il motto “Fake it, until you make it”, ovvero “simula una personalità che non hai, finché non sfondi”. Ecco: credo che Ian reciti un personaggio e invece vorrei vederlo finalmente vincere qualcosa di tosto, per chiedergli infine: ma Freud cosa direbbe di te?
  • Riccardino Fowler. Perché uno così, con la faccia alla Clarke Gable, con la Claret Jug in mano non stonerebbe proprio. Anzi: sarebbe come una camelia puntata su un tailleur Chanel.
  • Bubba Watson. Perché è il giocatore che meglio rappresenta i nostri tempi: precari noi, precario il suo swing.
  • Un italiano (Chicco o Luca Cianchetti). Vabbè, troppo facile: che ve lo dico a fà?

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