Open d’Italia, impressioni del primo giorno

Nella vita, passiamo un sacco di tempo guardando avanti. Siamo tutti alla ricerca disperata di qualcosa o di qualcuno: di un amore frizzante, di un abito nuovo, di un portafogli più gonfio. E se non guardiamo avanti, allora guardiamo indietro: a un amore finito, a un abito macchiato, a un portafogli rubato. E lo facciamo così tanto e così tante volte, che a volte mi chiedo se per caso non abbiamo perso la capacità di guardarci intorno. Perché alla fine, le cose che davvero contano nella vita, non abbandonano mai il nostro fianco: restano lì, mai troppo avanti o mai troppo indietro. Sono lì e non hanno bisogno di essere cercate, perché le abbiamo già trovate.

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Ecco. Sul Tour le cose sono ancora più complicate: è vietato guardare avanti, è proibito guardare indietro, e si sta sempre e solo nel colpo presente. Così è e così ti insegnano dal primo passo che azzardi in fairway. Epperò non puoi neppure guardarti troppo intorno: “Sul circuito europeo –mi racconta Jacopo Vecchi Fossa, azzurro promettente della nazionale pro- c’è un’atmosfera tale che se inizi a osservare gli altri giocatori, ti vien da pensare che siano tutti perfetti tranne te. Perciò bisogna imparare a badare alle proprie cose e a non guardare troppo agli altri”.

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Cammino allora per nove buche su e giù per Gardagolf, saluto i giocatori che incontro, e, niente: la sensazione che Jacopo abbia ragione si fa più forte swing dopo swing.

A osservarlo da vicino, il Tour è come Instagram: un mondo apparentemente perfetto, dove tutto pare vivere sempre e solo con la luce migliore e con le prospettive più emozionanti. Un mondo dove i dettagli, le sfumature, le lunghe strade per ottenere qualcosa paiono sempre in discesa. Ma dove, invece, al netto dei filtri tarocchi di Instagram, costano fatica. Tanta fatica. Così tanta fatica che anche uno come Lee Westwood sente il bisogno di staccare per tre settimane di fila, senza mai neppure toccare un bastone. Dove un tipo come Padraig Harrington, tra un colpo e l’altro in campo, si ripete continuamente a mo’ di mantra di essere fiducioso, ottimista, persino felice. Dove Alexander Levy trascorre un pomeriggio intero a mancare la buca sul putting green sotto l’occhio sconsolato del guru del putt, Philip Kenyon. Che più che un coach pare diventare un confidente al quale sussurrare, in un attimo eterno di una frazione di secondo, che no, davvero oggi non ce la faccio.

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Dietro l’immagine patinata e filtrata, nascosti sotto dubbi stratificati e mai accennati, tutti sul Tour sono alla ricerca di una carta, di una quadra, o di un’ispirazione.

Tutti sul Tour vorrebbero essere come la luna, che brilla della luce del sole, senza che il sole chieda mai nulla in cambio, perché quello che il Tour ti chiede, invece, è molto: non guardarti intorno, non guardare avanti, non guardare indietro. E allora è facile domandarti in cuor tuo dove diamine volgere lo sguardo: “Su mio figlio –mi risponde Tommy Fleetwood- che diventa ogni giorno più grande”.

Su ciò che sta al nostro fianco, mi viene da pensare: su ciò che non devi cercare, perché l’hai già trovato.

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Comments

4 Comments
  1. posted by
    Dario
    May 30, 2018 Reply

    Io guardo intorno a me, e vedo mia moglie che amo…..il golf, bello, lo pratico ma non è a primi posti.

    • posted by
      Isabella Calogero
      May 30, 2018 Reply

      love is in the air!!! BENE

  2. posted by
    Francesco
    May 30, 2018 Reply

    Questo è il bello del golf. Questo è ciò che lo rende magico! Oggi ti riesce tutto e domani nulla. Tutti…….o quasi tutti…..possono raggiungere la vetta! E chi ha raggiunto la vetta può trovarsi il venerdì sera a non aver superato il taglio! Non esistono ricette magiche! Sarebbe facile copiare un campione e sperare di diventare come lui! Ogni giocatore ha uno swing differente! Ogni giocatore ha un approccio diverso. Ma tutti , pur non essendo campioni, sono giocatori di Golf!

  3. posted by
    Francesca
    May 30, 2018 Reply

    Bellissimo…non potevi descrivere meglio sensazioni come queste.

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