Phil come Tom Watson

Diciamocelo: aver giocato il suo secondo giro dell’Open Championship all’alba, sotto il diluvio sì, ma senza il vento famelico del pomeriggio, e soprattutto con l’aria che spirava dalla parte giusta –ovvero a favore nelle seconde nove- ha aiutato non poco Phil Mickelson a mantenere la leadership del torneo. Ma obiettivamente non è un mero capriccio degli dei del golf se Phil si trova così in alto (a meno 10 sul par) dopo 36 buche: piuttosto è il risultato di un duro lavoro che parte da lontano, anzi da lontanissimo. Più esattamente dalla mole di allenamento svolta nello scorso inverno dal mancino con il suo guru del gioco corto, Dave Pelz.
Con l’obiettivo di centrare per la seconda volta questo titolo e lontano dai tornei del Pga Tour, Phil si è infatti concentrato nel levare spin alla palla soprattutto con i suoi ferri più corti, in modo da controllare meglio nel vento dei links i suoi wedge al green, che ora –guarda caso- volano con traiettorie più basse.
Ma non solo: questo miglioramento si è poi traslato –racconta- automaticamente anche nel gioco lungo, tanto è vero che Mickelson si trova oggi ad avere in sacca un ferro 2 dal tee che atterra sì prima, ma che rotola chilometri senza dover combattere l’aria del vento che soffia in alto. E ancora: l’americano ha persino dichiarato che grazie a questo ferro 2 soffre molto meno stress su quei tee shot complicati, che ora invece legge quasi come fossero dei putt, appoggiandosi con fiducia alle mille pendenze dei fairway.
Proprio come ha sempre fatto il buon Tom Watson, padrone assoluto dei links scozzesi: meno spin, volo più basso e più controllo.

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