Quando il baby fenomeno va in crisi

C’è una vicenda che nei giorni scorsi ha tenuto banco sui siti internazionali di golf e che credo debba essere da monito per tutti quei genitori che hanno i figli impegnati in una seria attività agonistica.

Mi riferisco al “divorzio” tecnico tra Lydia Ko, la 19enne numero 1 del mondo, e il guru del suo swing David Leadbetter: incredibilmente, tre vittorie e un major e la conferma della prima posizione nel ranking mondiale non sono stati ritenuti risultati sufficienti nel 2016 a garantire il rinnovo del posto al buon David.

Si sa: quando inizi a giocare col gas aperto, quando spingi sempre di più sotto il peso di troppe aspettative e pressioni, a volte le cose possono iniziare ad andare nel verso opposto a quello che ti eri prefissato. E infatti dalla fine di quest’estate i risultati di Lydia non sono per niente in linea con il suo straordinario talento: troppo presto, forse, per parlare di crisi, ma tant’è, l’entourage della Ko ha deciso che era tempo di rischiare e cambiare e così ha licenziato prima il caddie Jason Hamilton e poi pure il coach. Così, con un paio di telefonate.

Fin qui la cruda cronaca dei fatti che lascia il tempo che trova se non fosse per le parole di commiato di Leadbetter, uno che sa bene cosa dice le poche volte che parla, avendo letteralmente cresciuto baby fenomeni poi divenute campionesse stellari come Se Ri Pak o Michelle Wie.

“Arriva un momento –ha dichiarato il coach- in cui i genitori devono lasciare che l’uccellino sia libero di abbandonare il nido. Lydia deve prendere il controllo della propria vita e imparare a prendere più decisioni da sola. Lasciando che siano sempre gli altri a decidere per lei, alla fine è diventata indecisa in campo e ha iniziato a non credere abbastanza in se stessa”.

Bum!

Vedete: ho sempre pensato che per i più giovani il golf sia una reale palestra di vita. Voglio dire: si cresce, giocando a golf. A patto che le decisioni siano tue e sempre e solo tue.

Banalmente in campo non si tratta solo di decidere se tirare un ferro 7 o un ferro 8, se giocare a destra o a sinistra, in fade o in draw.

Nossignore.

Soprattutto per i più giovani, la posta in palio è molto più alta: scegliendo a ogni colpo quale strategia adottare, i ragazzi sviluppano costantemente la fiducia nelle proprie decisioni e nelle proprie capacità.

In buona sostanza, il golf aiuta a potenziare una certa dose d’indipendenza, fondamentale per la crescita e lo sviluppo dei ragazzi.

Eppure non sempre le cose vanno così. Anzi. Basta stare a bordo fairway in una delle tante gare giovanili del calendario azzurro per rendersene conto: le ingerenze di genitori, nonni, zii, cugini, tutor, coach, preparatori fisici e mentali, sono continue e assillanti. Anche e soprattutto quando di Lydie Ko non ce ne è manco l’ombra.

Per dire: la stessa Pia Nilsson, colei che ha costruito il fenomeno di Annika Sorenstam, ha recentemente rilevato come la lentezza del gioco moderno sia dovuta in parte anche alla minor capacità dei ragazzi di prendere decisioni in tempi brevi.

Ora, l’esperienza insegna che è inutile tormentarsi a ogni colpo alla ricerca della scelta più giusta: di solito è quella che diventa chiara subito dopo aver fatto quella sbagliata. Ma per capirla, prima bisogna sbagliare. E se si deve sbagliare, bisogna farlo con la propria testa, non seguendo le indicazioni altrui. Tanto meno quelle di genitori, nonni, zii, cugini, tutor e chi più ne ha, più ne metta.

Morale: ognuno faccia il suo. Il giocatore giochi; i genitori facciano i genitori. E lo facciano soprattutto capendo quando è ora che l’uccellino lasci la gabbia: appena entra in campo.

 

 

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