Quando lo swing è un frenetico star fermi

Quattro parole per riassumere lo swing di noi golfisti neurolabili: “un frenetico star fermi”.

Sì e no muoviamo giusto i polpastrelli delle mani su e giù per tutto l’arco del backswing e poi del downswing, ma lo facciamo con l’urgenza cardiopatica di chi sta per perdere il 765 sull’Appia Nuova a Roma, di chi ha da pagare bollette scadute, o, ancora, di chi ha da appagare ora e subito le proprie mille aspirazioni.

Mentre swinghiamo, abbiamo quella fretta del cuore che neppure l’amore è più in grado di farci provare in petto: alla base della nostra fretta di colpire quella maledetta sfera bianca, c’è quella voglia matta di vederla decollare per aria, finalmente dritta come una freccia verso il bersaglio.

In buona sostanza, è il desiderio quello che ci frega, quello che, manco fosse carburante per le nostre ambizioni, accende la miccia dei nostri downswing impetuosi ma sempre fuori sincro. Che poi è l’essenza delle nostre vite, questo desiderio bruciante che ci fa andare all’assalto della pallina manco fosse la cassaforte di Fort Knox lasciata sguarnita: oggi tutti pretendiamo risposte immediate dal mondo, eppure concedersi il giusto tempo per inquadrare cose e persone è preferibile, perché alla fine, si sa, se lo si asseconda, il tempo rema sempre nella tua direzione.

Ora: prendete Hideki Matsuyama, uno che quando swinga, ha quell’esitazione infinita all’apice del backswing, che pare che sia annoiato dall’ansia del dover tirare.

Ecco prendete lui: uno che, prima di colpire la pallina, sembra aspettare come minimo che qualcuno gli dia il ciak, o che magari gli riveli, per farle sue, le parole con le quali, alle porte di Roma, Papa Leone Magno fermò Attila il Flagello di Dio, uno che la fretta la impersonificava sin dalla culla quando fece fuori i suoi due fratelli perché si annoiava a star fermo.

Insomma: l’Hideki che swinga concedendosi il tempo per bersi un tè alla fine del backswing, pare aver capito una cosa che tutti dovremmo fare nostra. E cioè che aspettare che succeda qualcosa è preferibile al farla accadere con l’impeto di una furia sanguinaria. Che tanto, quel che deve succedere, succede. Solo che in campo a lui succede ciò che desiderava; a noi invece non succederà mai ciò su cui contavamo. Perché, diciamocelo: anche i nostri buoni feeling golfistici hanno la stessa fretta dei nostri downswing. Non so se ve ne siete accorti, ma generalmente hanno vita breve come quella dei fratelli di Attila.

 

 

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