RORY: L’INSOSTENIBILE TENTAZIONE DELLA LEGGEREZZA

Ops, l’ha fatto di nuovo. Anche in questo terzo giro ad Augusta Rory ha indossato quella maschera che mai come quest’anno abbiamo imparato a conoscere: quella del campione vittima più che padrone di se stesso e del suo destino.

Come già era inaspettatamente accaduto nelle 18 buche conclusive del Doral, anche in quest’occasione McIlroy è parso infatti non riuscire non solo a reagire alle circostanze difficili in cui si trovava a navigare, ma neppure a invertire una accentuata tendenza negativa del suo golf.

Morale: quando entra nel gorgo psicologico della sfiga, il nordirlandese non riesce proprio a tirarsene fuori.

Impreciso dal tee, pessimo con i ferri corti al green, sfocato intorno alla buca: in definitiva Rory non ha mai dato occasione a quello che sarebbe potuto succedere di succedere.

Appaiato a Giordano Spiethato nel corso del terzo giro, ha subito dall’americano una pesante lezione di carattere prima ancora che tecnica: laddove il texano non arrivava con i suoi colpi a volte sbilenchi, ci arrivava comunque con la sua infinita disponibilità alla sofferenza. Perché se ciò che per Rory è naturale, per Giordano non è scontato, ciò che per Giordano è naturale –soffrire-, per Rory è assolutamente critico.

Non è infatti un caso che se nel percorso accidentato, ciò che ci porta a definire noi stessi prevede la capacità di resistere a tutto e nonostante tutto, lungo questo stesso percorso McIlroy pare troppe volte cedere invece all’insostenibile tentazione della leggerezza. E se sabato la maggior parte dei giocatori in campo pareva andare laddove andava il vento, Rory a quello stesso vento ha consegnato non solo i suoi colpi, ma anche la sua disponibilità a lottare. E forse anche i sui sogni di giacca verde.

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