Diciamocelo: la domenica finale del Masters non è andata come avremmo desiderato: ci aspettavamo un Apollo C-Reed contro Rocky Rory, e invece no. E invece è stato più un Juventus-Benevento: per carità, un bello spettacolo, ma senza quell’isteria sana da strapparsi le vesti insita nelle prestazioni che restano incise nella storia dello sport. E, raga, diciamocelo: se ieri sera e ancora stamattina la nostra insoddisfazione morde rognosa alla bocca dello stomaco, la colpa –se così si può dire – è di Rory McRory.
Sissignore: è il ricciolone nordirlandese che ci ha rovinato la festa, consegnandosi con tanto di bandiera bianca alla determinazione ferina di Patrizione Reed.
Voglio dire: è uno spettacolo che lascia basiti e interdetti quello messo in scena da un campione come McIlroy, uno che dovrebbe essere in cima alla catena alimentare del green, e che invece si fa sbranare dagli eventi senza neppure provare a smuovere di un millimetro lo score.
E anche se Giordanello e Riccardino hanno provato fino all’ultimo a mettere una pezza su questo torneo che si profilava deludente per la maggior parte dei tifosi, quel nostro malcelato senso di frustrazione è sempre rimasto accoccolato sulle spalle, come un condor affamato pronto a saltare sulla preda inerme.
E allora, ripetiamocelo: la colpa di questo Masters senza un particolare batticuore è di Rory McRory, che mentre arrancava tra un tee shot sbilenco e l’altro, pareva uno che era intento a fischiettare Mozart mentre era in ballo a un concerto dei Metallica.
Voglio dire: il gioco di Rory? Inguardabile. Dal drive al putt, si è sviluppato solo per vie destrorse.
Il suo atteggiamento? Dalla 1 alla 18 è stato totalmente in blocco, com’è tipico del giocatore in tensione e incapace di swingare attraverso la palla.
Il putt? Se grazie ai consigli di Faxon, pareva aver ritrovato ritmo e release, domenica ad Augusta è tornato a essere quel tallone d’Achille che infesta i suoi score da oltre un anno.
I suoi wedge? Senza alcun controllo della distanza.
I suoi ferri? Zingari: un po’ di qua, un po’ di là (ma soprattutto fuori ritmo, scentrati e corti a destra).
La sua routine di gioco? Troppo veloce, rapida, come a non voler stare ad ascoltare le mille voci che certamente si insinuano tra le sue orecchie; come a volersi togliere di impaccio, manco fosse un comprimario e non il protagonista più atteso.
Il caddie? Inesistente e probabilmente non in grado di smuovere l’animo e i neuroni del suo assistito.
Ora, non è la prima volta che gli accade: ricordate l’ex caddie J.P. all’ultimo Open Championship di Birkdale che gli urlava di tirare fuori le palle? Ecco.
Anzi, a voler essere precisi, la primissima volta che abbiamo scoperto quanto sia da Oscar Rory quando si impegna a recitare il ruolo del sottomesso golfistico è stato nel terzo giro del Masters del 2016, per intenderci, quello vinto da Neuro Willett grazie al quadruplo bogey flappato di Giordanello alla 12.
Giocava con Spieth, Rory: 77 lo score della giornata, frutto di zero birdie, ma soprattutto di un inaspettato atteggiamento da chihuahua bagnato che lo ha accompagnato lungo tutto il percorso.
“Troppi soldi – ha tuonato quest’estate il super manager Chubby Chandler a pranzo a Crans con la sottoscritta- Rory non è un lottatore. Se le cose girano, va tutto bene, ma se deve tirare fuori le unghie, allora non ce la fa”.
Lui, Rory, dopo la debacle di Augusta ha ribattuto: “Ho giocato probabilmente il mio miglior golf in settimana, ma evidentemente non era destino che accadesse”.
Il problema, però, è che i campioni stellari, quel destino lo forzano perché accada, non lo accettano passivamente.
Il problema è che per fare la rivoluzione, i campioni non abbassano il capo; piuttosto si mettono in testa una piega perfetta e vanno spavaldi a muso duro contro il muro del karma ostile.
Il problema è che, se è vero che esistono meccanismi invisibili e subdoli con i quali siamo bravissimi a renderci difficilissime le cose, è altrettanto vero che i grandi campioni sanno porvi rimedio con continui, minuscoli e incessanti cambiamenti invisibili ai profani.
Il problema è che i grandi campioni non sono mai morti; quelli con l’attitudine alla Rory sono cadaveri al primo putt che lisciano.
Il problema è che l’atteggiamento di Rory di ieri sta all’atteggiamento dei grandi campioni come i video porno stanno alla realtà vissuta: voglio dire, mejo che niente, però sai quanta soddisfazione in meno?