Se il golf crea 70 miliardi di dollari. Negli Usa, però

Mentre nel golf italiano tutto pare muoversi alla velocità della moviola e si attende di cogliere il benché minimo accenno di smarcamento del ministro Lotti dalla palude politica nella quale si sono impantanate le fideiussioni governative pro Ryder Cup, nel silenzio di viale Tiziano si segnala un andirivieni deciso di enti più che disponibili a controgarantire il governo, nonostante il piagnisteo continuo dei Cinque Stelle. E se dunque in Italia il leitmotiv golfistico racconta di una tardiva rincorsa frenetica  di tutti contro tutti per non restare col cerino acceso in mano, nel resto del mondo le cose vanno avanti spedite al fulmicotone.

Ce lo racconta Forbes in un lungo e dettagliato resoconto sullo stato di salute del golf americano.

I numeri snocciolati sono impressionanti, soprattutto se letti con lo sguardo ignorante, provinciale e del tutto italiano secondo cui il golf sarebbe il trito e ritrito giochino per ricchi, vecchi e viziati.

Dunque: secondo Forbes, nel 2016 il mondo del green ha generato negli States 70 miliardi di dollari di impatti economici, garantendo il lavoro a circa 2 milioni di persone.

Ma non solo: sono ben 4 i miliardi di dollari che il pianeta golf a stelle e strisce ha versato in beneficenza nello stesso anno, mentre il gruppo Acushnet (proprietario di marchi come Titleist e Footjoy) festeggiava l’Ipo in borsa con oltre 22mila sue azioni acquistate dal mercato.

Sempre nel 2016, grazie ai programmi per il golf femminile, ben 62mila ragazzine sono state introdotte al mondo del golf, contro le “sole” 4.600 di 6 anni fa.

In contemporanea, con il supporto di US Kids Golf, First Tee e American Junior Golf Association, è cresciuto verticalmente il numero di giovani praticanti.

E ancora: il recente Pga Merchandise Show di Orlando ha contato oltre 1.000 espositori con un incremento netto del giro degli affari.

Gli analisti americani sono ottimisti: ci sono stati sicuramente prima un boom del golf in contemporanea con l’era Tiger, e poi, dicono, complice la crisi economica, una naturale correzione al ribasso causata da una saturazione del mercato, ma oggi gli indici puntano di nuovo verso l’alto.

Il numero dei round giocati nel 2016 non è ancora tornato ai livelli storici del boom, è vero, ma la tendenza, soprattutto tra i millenials, è decisa al rialzo.

Ecco.

Da noi invece, in attesa di un serio piano di promozione, festeggiamo manco fossimo napoletani di fronte al palesarsi in carne e ossa di Maradona, se 40 bambini delle scuole elementari fanno il loro ingresso alla Fiera del golf di Parma per provare swing e putt.

Da noi in questi giorni si celebra nelle scuole la settimana dello sport, ma in tutta onestà, al netto dell’odierna iniziativa del Comitato Regionale Piemontese, non so per mancanza di comunicazioni (e di fondi) se ve ne siano altre in agenda per portare giovani e giovanissimi sui fairway nostrani.

In generale, da noi, nell’anno uno della Road to Rome 2022, il dibattito e e la comunicazione su cosa sia e cosa rappresenti realmente il mondo del golf sono ferme al dopoguerra e la disinformazione (per essere gentili) dei detrattori del green rasenta il ridicolo per non dire altro. Ma si sa: a parlare male di banchieri, politici, massoni e golfisti da noi non si sbaglia mai.

Se poi è vero come è vero che è la qualità delle discussioni che avvengono in un Paese a segnare il livello di civiltà di quello stesso Paese, beh, allora, anche solo limitandoci al banale tema golf, qui da noi siamo fermi al Pleistocene.

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